Controversie e soluzioni alternative: gli Organismi di Conciliazione
Le procedure di risoluzione delle controversie si possono così connotare:
– Negoziazione. Le parti in lite interagiscono, direttamente o con l’assistenza di consulenti, senza l’ausilio di un terzo neutrale.
– Conciliazione. Le parti in lite interagiscono, normalmente assistite da consulenti, con l’ausilio di un terzo neutrale privo del potere di emettere una decisione vincolante.
– Arbitrato. Le parti in lite interagiscono, quasi sempre assistite da consulenti, con l’ausilio di un terzo neutrale dotato del potere di emettere una decisione vincolante.
L’istituto della conciliazione è conosciuto nel nostro ordinamento: lo ritroviamo all’interno del processo di lavoro, nonchè nella materia della subfornitura, nella materia del turismo e del Franchising, oltre che in quella agraria.
Tuttavia, tali forme di conciliazione sortiscono, raramente, gli effetti desiderati, concludendosi, quasi sempre, con un esito negativo e senza, perciò, alcun vantaggio effettivo per quanti vi si rivolgono.
Negli ultimi anni, però, il nostro ordinamento, al fine di tentare un allineamento con i Paesi Europei, che già da tempo utilizzano, con grandi risultati, le procedure conciliative, anche sulla scorta delle direttive e raccomandazioni Europee – 98/27/CE del 19 maggio 1998, 30 marzo 98 , GU L/115 del 17 aprile 1998 p. 31, 4 aprile 2001, GU L/109 del 19 aprile 2001 pag. 56, ha previsto un’importante novità, introducendo una conciliazione volontaria ma amministrata.
Si tratta della possibilità di devolvere la conciliazione ad organismi privati, purchè assoggettati a forme di controllo da parte della pubblica amministrazione – Ministero della Giustizia – che assumono la veste di “Organismi di Conciliazione”.
Tale innovazione è stata avviata con la legge 366 del 3 ottobre 2001 “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”, che prevedeva la conciliazione delle controversie civili in materia societaria, anche dinanzi ad organismi istituiti da entri privati, che dessero garanzia di serietà ed efficienza, e che fossero iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia.
Il D.L.vo 17 gennaio 2003 n. 5 “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, emanato in attuazione dell’art. 12 della L. 3 ottobre 2001 n. 366, con gli articoli da 38 a 40 ha previsto l’istituzione degli Organismi di Conciliazione.
Gli art. 38-40 D.L.vo 5/03 ”definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 L. 366/01”, è prevista l’istituzione del Registro degli Organismi di Conciliazione.
Tale intervento normativo corrisponde ad una più generale linea di tendenza del nostro ordinamento rivolta ad individuare e disciplinare strumenti alternativi di definizione delle controversie, capaci di offrire, quando possibile, soluzioni più spedite, agevoli ed economiche alle liti, nonché di ridurre il contenzioso giurisdizionale, senza rinunciare al carattere universale della relativa tutela, in conformità dei precetti costituzionali.
In attuazione delle disposizioni normative dell’art. 38 sono stati emanati:
– ai sensi dell’art. 38 c. 2 il DM 222/04 “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli Organismi di Conciliazione di cui all’art. 38 D. L.vo 5/03;
– ai sensi dell’art. 39 c. 3, il DM 223/04 “Regolamento recante approvazione delle indennità spettanti agli Organismi di conciliazione a norma dell’art. 39 del D. L.vo 5/03;
L’ambito di applicazione dell’istituto previsto dal D. L.vo 5/2003 comprende oltre alle liti nei rapporti di società, anche le controversie in materia di intermediazione finanziaria, bancaria e creditizia così come stabilito dall’art. 1 del decreto.
Tale tipo di conciliazione si potrà pertanto riferire non soltanto a controversie di grande valore (per es. in materia di patti parasociali) ma anche a vicende di valore più modesto insorte tra imprese e consumatori (per es. per quanto riguarda i contratti di intermediazione mobiliare e i contratti di borsa).
Le tipologie di controversie previste dall’art. 1 c. 1 del D. L.vo 5/03 sono le seguenti:
a) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici, e delle società cooperative nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati;
b) trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;
c) patti parasociali, anche diversi da quelli disciplinati dall’art. 2341-bis cc e accordi di collaborazione di cui all’art. 2341 bis u.c. cc;
d) rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa;
e) materie di cui al D. L.vo 385/93 quando la relativa controversia è promossa da una banca nei confronti di altra banca ovvero da o contro associazioni rappresentative di consumatori o camere di commercio:
f) credito per le opere pubbliche.
La procedura di conciliazione disegnata dalle su citate fonti normative tende oggi a rappresentare un primo standard di riferimento per il legislatore, quando interviene a prevedere specifiche ipotesi di conciliazione regolata, come nell’art. 140 bis (azione collettiva risarcitoria) e 141 del Codice del Consumo e nell’art. 768 octies cc (patti di famiglia).
La Conciliazione amministrata attraverso gli Organismi di conciliazione è un mezzo non contenzioso di composizione delle controversie. La sua funzione è quella di condurre le parti ad una definizione della lite prescindendo dall’azione in giudizio. I vantaggi della conciliazione sono evidenti, sia per l’interesse dei soggetti che vi ricorrono, in considerazione del risparmio di costi e di tempi che la conciliazione consente, sia per l’interesse generale, dato che alla diffusione degli strumenti alternativi di risoluzione delle liti consegue una semplificazione dell’amministrazione della giustizia.
La Conciliazione è governata da regole semplici. La definizione della lite è atto riconducibile direttamente alla sfera delle loro volontà e non, come nel processo civile e nell’arbitrato rituale, alla decisione autoritativa di un organo terzo (il giudice, l’arbitro).
Sono caratteri della conciliazione:
A. L’incoercibilità: la parte non è obbligata a concludere la conciliazione né a partecipare alla trattativa, benché in caso di recesso dalle trattative l’art. 40 c. 2, in fine, D. L.vo 5/2003, contenga la seguente disposizione: “il conciliatore dà altresì atto, con apposito verbale, della mancata adesione di una parte all’esperimento del tentativo di conciliazione”.
B. L’imparzialità: il conciliatore deve essere terzo imparziale e indipendente rispetto alle parti. Se esistono ragioni anche remote e indirette di conflitto di interessi, il conciliatore deve astenersi dall’assumere l’incarico ed è responsabile del mancato assolvimento del dovere di imparzialità.
C. L’equità: l’accordo conciliativo dovrà sempre tendere a contemperare gli interessi di entrambe le parti, senza disparità e assicurando un reciproco grado di sodd
isfazione.
D. La salvezza: se le parti non raggiungono l’accordo, mantengono intatte le loro pretese e il diritto di promuovere l’azione in giudizio o dare avvio a un procedimento arbitrale; tuttavia a norma dell’art. 41 c. 5 D.L.vo 5/03, la mancata comparizione di una delle parti e le posizioni da esse assunte dinanzi al conciliatore sono valutate dal giudice nell’eventuale successivo giudizio ai fini della decisione sulle spese processuali, anche ai sensi dell’art. 96 cpc, potendo il giudice decidere sulle spese in termini diversi dal criterio della soccombenza, escludendo la ripetizione delle spese da parte della parte vittoriosa o addirittura condannandola a rimborsare le spese al soccombente.
E. L’autonomia: le parti possono condurre la trattativa nei modi che ritengono più opportuni e decidere il grado di incidenza dell’attività del conciliatore sulla formazione dell’accordo, possono determinare liberamente il contenuto dell’accordo, secondo quella che ritengono essere la maggiore rispondenza ai loro interessi.
F. La rapidità: la conciliazione non ha tempi minimi di durata. L’accordo può essere raggiunto anche al primo incontro.
G. L’economicità: le parti saranno tenute a corrispondere soltanto l’onorario del conciliatore, che è fisso e predeterminato in ragione del valore della controversia, nonché le spese anch’esse fisse, di segreteria ( DM 223/04); a norma dell’art. 39 D. L.vo 5/03 “gli atti i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di conciliazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura” (1° c.), ed inoltre che “il Verbale di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 25.000,00 Euro” (2° c.).
H. La riservatezza: il conciliatore ha l’obbligo di non rivelare alcuna informazione relativa all’incarico ricevuto, sia riguardo alle parti, sia con riguardo allo svolgimento della procedura conciliativa, sia con riguardo ai contenuti dell’eventuale accordo. Analogo vincolo ricade sulle parti, atteso che le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio promosso a seguito dell’insuccesso del tentativo di conciliazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale (art. 41 c. 3, D. L.vo 5/03).
I. La responsabilità: Il conciliatore abilitato ai sensi dell’art. 38 D. L.vo 5/03 deve essere assicurato dall’Organismo di Conciliazione di cui fa parte con una polizza conformata ad uno standard assicurativo che fornisce sufficiente garanzia agli utenti in ordine ad eventuali pretese derivanti dallo svolgimento del servizio.
Gli Organismi di Conciliazione possono essere soggetti diritto, sotto forma associativa, ovvero societaria, sia di natura pubblica che privata.
Al fine di poter assolvere le funzioni previste dalla legge ed al fine di garantire quel controllo da parte del Ministero della Giustizia, gli organismi di conciliazione devono, necessariamente, ottenere l’iscrizione in un apposito registro tenuto proprio presso il Ministero della Giustizia e sottoposta alla vigilanza del “Responsabile del Registro” (il Direttore generale per gli affari civili del Ministero, o un suo delegato, che può essere affiancato, ai sensi dell’art. 3, co.3, da un comitato di esperti con funzioni consultive).
Detto Registro è una sorta di data base, nel quale sono individuati tutti gli organismi che, avendone fatto domanda corredata dei requisiti e degli allegati richiesti, siano stati iscritti nel Registro ed abbiano perciò la qualificazione a svolgere procedimenti idonei a produrre gli effetti di cui agli art. 38 – 40 del D. L.vo 5/2003, ai sensi del D.M. 23 luglio 2004 n. 222, “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del D. L.vo 17 gennaio 2003 n. 5”.
Nel Registro degli Organismi di Conciliazione possono iscriversi di diritto gli Organismi istituti dalle Camere di Commercio ai sensi dell’art. 4 L. 4080/03 nonché gli organismi aventi i requisiti di professionalità ed efficienza indicati dall’art. 4 D.M. 222/2004.
I requisiti di cui il responsabile deve riscontrare la sussistenza sono la forma giuridica dell’ente, il suo grado di autonomia, la compatibilità dell’attività di conciliazione con lo scopo istitutivo, la consistenza dell’organizzazione di persone e mezzi e il suo grado di adeguatezza anche sotto il profilo patrimoniale, nonché la stipulazione di una polizza, idonea a coprire i rischi individuati nello standard approvato dal responsabile del Registro, per un massimale di importo non inferiore a 500.000,00 Euro per le eventuali “conseguenze patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di conciliazione”, i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori, rappresentanti, la trasparenza amministrativa e contabile dell’ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico con i conciliatori, le garanzie di indipendenza, di imparzialità e di riservatezza nello svolgimento del servizio nonché la conformità del regolamento di procedura alla legge e delle tabelle delle indennità alle previsioni regolamentari (DM 223/04), infine la sede dell’organismo e la sussistenza del numero minimo di sette conciliatori in via esclusiva.
Devono, in ogni caso, essere destinate all’Organismo, con prevalenti compiti di segreteria, anche in via non esclusiva “almeno due persone nominativamente indicate con riferimento anche al tipo di trattamento giuridico ed economico applicato” e qualora l’ente istitutivo dell’Organismo sia una società di avvocati o una associazione di professionisti, deve trattarsi di “prestatori di lavoro subordinato…ai quali risulti applicato il trattamento retributivo e previdenziale previsto dal rispettivo contratto collettivo nazionale di lavoro”: nell’uno e nell’altro caso non potendo trattarsi delle stesse persone che assumono il ruolo di conciliatori ovvero dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dell’organismo o dell’ente istitutivo (art. 4, c. 5 e 6 DM 222/04).
Per costituire un Organismo di Conciliazione è necessario dimostrare l’inserimento nella struttura organizzativa di un certo numero di conciliatori.
I conciliatori sono necessariamente persone fisiche, che abbiano certi requisiti di imparzialità, di indipendenza e di professionalità.
Il conciliatore non può partecipare contemporaneamente a più di tre organismi di conciliazione (art. 6, c. 2 DM 222/04).
Ciascun Organismo di Conciliazione (diverso da quelli istituiti ai sensi dell’art. 4 L. 580/93) deve d’altra parte, avere almeno sette conciliatori che abbiano dato disponibilità esclusiva al richiedente (art. 4, c. 3 lett. f, DM 222/04).
Il conciliatore deve essere:
– Un Magistrato in quiescenza;
– Un Professore Universitario o di ruolo di materie giuridiche od economiche anche in quiescenza;
– Un Professionista iscritto agli Professionali di materie giuridiche od economiche da oltre 15 anni anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari;
– Un laureato in materie giuridiche od economiche ovvero un iscritto in albi professionali in materie giuridiche od economiche con anzianità inferiore a 15 anni purchè abbia seguito con successo un corso specifico di formazione per conciliatori, che sia stato svolto in conformità a quanto prescritto dalla determinazione assunta dal Responsabile del Registro a norma dell’art. 10, c. 5, DM 222/04.
Il Conciliatore assume un incarico di carattere professionale, che deve essere svolto con diligenza e correttezza, osservando l’obbligo di riservatezza su tutto quanto appreso per ragioni di servizio.
Egli non può assumere alcun diritto ovvero obbligo che sia direttamente o indirettamente connesso agli affari trattati, né possono percepire compensi direttamente dalle parti, senza la mediazione dell’ente/organismo di conciliazione presso il quale presta
servizio.
Il conciliatore, all’atto dell’assunzione dell’incarico, deve sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità per ciascun affare per il quale è designato e deve successivamente dare immediata notizia all’ente/organismo di vicende che lo riguardino che possono avere
influenza sui requisiti soggettivi nel corso della trattazione del procedimento.
Le indennità dovute per ogni affare di conciliazione devono adeguarsi alle tabelle previste dal DM 223/04 cui deve adeguarsi la tabella delle indennità apprestata da ciascun organismo.
Il conciliatore assume un ruolo estremamente sensibile, perché deve essere capace di chiarire alle parti gli aspetti della controversia che esse devono considerare per pervenire o meno alla conciliazione, i vantaggi e le soluzione che possono valorizzare nella conciliazione della lite.
Il compito del conciliatore è pertanto, quello di orientare le parti nella ricerca di un accordo che si riveli soddisfacente per gli interessi di entrambe.
Il conciliatore è prima di tutto un mediatore che guida le parti nella negoziazione promuovendo e favorendo il raggiungimento dell’accordo. Egli oltre a ricevere le eventuali proposte conciliative delle parti, può anche procedere a formularne una propria, che possa poi essere tratta a base contenutistica del definitivo atto transattivo della lite.
Il conciliatore non assume alcuna decisione né emette alcun provvedimento dotato di autonoma efficacia giuridica.
La procedura della conciliazione che si deve ispirare ai principi di informalità, rapidità e riservatezza, nonché ad imparzialità e idoneità del conciliatore al corretto e sollecito espletamento dell’incarico, i cui criteri sono fissati dall’art. 7 DM 222/04 prevede:
– il divieto dell’iniziativa officiosa del procedimento;
– la possibilità di derogare le norme regolamentari su accordo delle parti;
– l’indicazione del luogo ove si svolge il procedimento;
– previsione dell’eventualità che la procedura possa concludersi su richiesta di entrambe le parti con una proposta di definizione della lite da parte del conciliatore;
– individuazione delle cause di incompatibilità del conciliatore;
– previsione che la procedura possa iniziare solo con la sottoscrizione della dichiarazione di imparzialità da parte del conciliatore;
– possibilità per le parti di accedere agli atti, conservati secondo le modalità di legge in apposito fascicolo registrato e numerato nel registro degli affari di conciliazione;
– possibilità di ciascuna delle parti di indirizzare al conciliatore comunicazioni riservate alle quali non dovrà essere garantito l’accesso all’altra parte.
Ciascun ente od organismo, a norma dell’art. 12 DM 222/04, è tenuto ad istituire un elenco degli affari di conciliazione che sarà tenuto in formato informatico oltre che cartaceo recante le annotazioni relative al numero d’ordine progressivo delle procedure di conciliazione pervenutegli, i dati di individuazione della controversia, il suo oggetto, il conciliatore designato, la durata del procedimento e il relativo esito, nonché il numero del fascicolo contenente gli atti del procedimento ai quali le parti possono avere accesso.
Il registro degli affari di conciliazione deve essere esibito al Responsabile del Registro dietro semplice richiesta al legale rappresentante dell’ente o dell’organismo, così come i documenti conservati relativi agli affari di conciliazione trattati o pervenuti all’organismo o all’ente.
Il responsabile, a norma dell’art. 12, c. 3 DM 222/04 può prevedere che ulteriori registri o annotazioni debbano tenersi da parte degli organismi o enti. Con la determinazione dirigenziale (approvazione della domanda di iscrizione dell’Organismo di conciliazione) si stabilisce che debba essere inserito in un apposito registro cronologico copia conforme dei verbali dei tentativi di conciliazione e in altro registro copia conforme delle avvenute o mancate conciliazioni.
Gli atti e i documenti relativi agli affari di conciliazione , ulteriori rispetto a quelli appena indicati, debbono essere conservati per almeno un triennio (art. 12 c. 3 DM 222/04).
Linee guida sull’iscrizione al registro degli organismi di conciliazione
La domanda, presentata secondo il modello approvato dal Responsabile del Registro e corredata di tutti gli allegati richiesti deve essere inviata al Responsabile stesso con modalità cartacee e successivamente anche telematiche che ne assicurino il ricevimento. Decorsi novanta giorni dal ricevimento della domanda, senza che il Responsabile abbia provveduto, si provvede comunque all’iscrizione (art. 5 c. 5 Dm 222/04). Tuttavia è ammessa, per una sola volta, la richiesta di integrazione della domanda o dei suoi allegati, con valore interruttivo del termine di novanta giorni per il provvedimento di assenso o di diniego all’iscrizione (art. 5, c. 4 DM222/04).
In seguito all’iscrizione e alla comunicazione del numero d’ordine attribuito al richiedente nel registro, l’organismo o l’ente e il conciliatore assumono l’obbligo di fornire prestazioni di conciliazione che gli vengano richieste, prestazioni che pertanto hanno carattere obbligatorio e non possono essere rifiutate.
Negli atti, nella corrispondenza e nelle eventuali forme di pubblicità consentite e in genere nelle comunicazioni al pubblico, deve essere inserita la dicitura “iscritto al n…..del Registro degli organismi deputati a gestire tentativi di conciliazione a norma dell’art. 38 D. Lvo 5/03”.
Ogni ente od organismo è tenuto a trasmettere per ciascun anno di attività a partire dal secondo anno di iscrizione e con termine 31 marzo dell’anno successivo il rendiconto della gestione su modelli appositamente predisposti dal Ministero e da questo pubblicati sul sito internet.
Dell’esito positivo degli affari di conciliazione deve essere data notizia al Responsabile del Registro,mediante trasmissione di originale o di copia conforme del relativo verbale, affinché il responsabile, su istanza di parte possa trasmettere il verbale al Presidente del Tribunale ai fini dell’eventuale omologazione (art. 8 c. 2 DM 222/04).
Il Responsabile, in presenza di violazioni degli obblighi di informazione gravanti sull’organismo o sull’ente (art. 8 DM 222/04) ovvero qualora venga accertato il difetto o il venir meno di uno dei requisiti il cui possesso è necessario per l’iscrizione nel registro può disporre la sospensione, ovvero “nei casi più gravi” la cancellazione dell’organismo o dell’ente dal registro (art. 10 c. 1 DM 222/04).
Deve disporsi la cancellazione degli enti od organismi che non abbiano svolto almeno cinque provvedimenti di conciliazione nel corso di un biennio (art. 10 c. 1 DM 222/04), “l’esercizio del potere di controllo, anche mediante acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato nei modi e tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti di cui viene curato il preventivo recapito, anche soltanto per via telematica, ai singoli enti od organismi interessati” (art. 10 c. 4 DM 222/04).
Formazione dei Conciliatori
Il DM 222/04 stabilisce, all’art. 10, che “il responsabile stabilisce i requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere i corsi di formazione previsti dall’art. 4, c. 3, lett. d)” per i conciliatori che non siano magistrati in quiescenza, professori universitari di ruolo, anche in quiescenza, in materie giuridiche o economiche o iscritti ad albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità di almeno 15 anni, anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari.
Lo stesso art. 10 del DM citato stabilisce “..in via transitoria, e finchè non si sia autonomamente determinata, il responsabile applica i criteri elaborati dall’Unione italiana CCIAA per il corso di conciliazione di livello base…”.
Si tratta dei requisiti elaborati dall’Unione italiana delle CCIAA nel maggio 2005, in quelli che venivano chiamati “s
tandard uniformi per la formazione dei conciliatori per le camere di commercio”.
Tali criteri stabilivano una formazione dei conciliatori per un minimo di 32 ore di lezione, di cui almeno 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, per un numero massimo di 30 partecipanti.
E tali standard di formazione sono stati utilizzati, oltre che per i corsi di formazione tenuti dalle Camere di Commercio, anche per quelli organizzati dagli organismi privati, fino al 2006, allorché il Direttore Generale del Ministero della Giustizia ha emanato, in attuazione dell’art. 10 del DM 222/04 il decreto del 24 luglio 2006 avente ad oggetto “Approvazione dei requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere corsi di formazione per l’iscrizione nel registro degli organismi di conciliazione”.
Tali requisiti hanno lo scopo di consentire, per un verso, alle strutture già esistenti di adeguare i propri standard formativi e, per un altro verso, ai nuovi soggetti e/o enti formatori di poter strutturare l’attività di formazione secondo gli standard minimi.
Il Decreto succitato prevede l’attestazione di impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, con le seguenti caratteristiche:
1- almeno 32 ore di lezione di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra il conciliatore e Organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa;
2- almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all’art. 1 D. L.vo 5/03; i riti societari di cognizione originaria e sommaria.
Clausola di Conciliazione e vincolatività della stessa
L’art. 40 del D.L.vo 5/03, secondo la quale le società possono inserire nel contratto o nello statuto delle stesse una clausola – con effetto vincolante – che demanda le eventuali controversie alla procedura di conciliazione, forma l’aspetto centrale, intorno al quale si misura l’intenzione del legislatore di offrire agli operatori economici uno strumento davvero efficace ed appetibile per risolvere le controversie al di fuori di un’aula di Tribunale, .
Stabilisce, infatti, l’art. 40 c. 6 “Qualora il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito, il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa, dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell’istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto. Il processo può essere riassunto dalla parte interessata se l’istanza di conciliazione non è depositata nel termine fissato. Se il tentativo non riesce, all’atto di riassunzione è allegato il verbale di cui al comma 2. In ogni caso, la causa di sospensione si intende cessata, a norma dell’art. 297, primo comma, del codice di procedura civile, decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione”.
Il legislatore della riforma, con tale dizione, ha scelto di sancire la vincolatività della clausola dal punto di vista processuale e non sostanziale, anche perché ciò non implica la non percorribilità di quest’ultima soluzione.
Il legislatore ha, giustamente, optato per una vincolatività che abbia i suoi effetti immediati sul processo, anche al fine di accentuare al massimo la garanzia di effettività della conciliazione per le parti che volessero inserirla preventivamente in un contratto, quale strumento cui ricorrere in caso di controversie.
Non quindi un obbligo pur formale, ma facilmente eludibile dalle parti, bensì una clausola che determina effetti certi anche sul giudizio ordinario.
Laddove, infatti, una delle parti – contravvenendo alla clausola di conciliazione – si rivolgesse preventivamente al giudice ordinario, questi (su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa) sospenderebbe il giudizio per un periodo massimo di sessanta giorni.
Il legislatore ha optato per una soluzione meno rigida, in quanto – giustamente. Non prevede un vero e proprio caso di irricevibilità della domanda giudiziale e, quindi, di improcedibilità del giudizio.
Si tratta, invece di una semplice sospensione, per altro, non necessaria ma subordinata all’eccezione sollevata dalla parte interessata tempestivamente (nella prima difesa).
Tutto ciò deve essere visto con la chiave di lettura che il successo della conciliazione riposa tutto sulla effettiva e comune volontà delle parti ed è legato esclusivamente alla loro fattiva partecipazione, orientata verso il raggiungimento di un accordo.
L’esecutività del verbale di conciliazione
L’art. 40 D.L.vo 5/03 prevede al c. 8 nel caso in cui la conciliazione riesce la possibilità di far omologare dal Presidente del Tribunale il verbale di conciliazione al fine di renderlo esecutivo.
Tale strumento offre la garanzia che la conciliazione sia nella disponibilità delle parti al fine di rendere effettivo l’impegno assunto e, dunque, coercibile. L’obbligo preso dalle parti in sede conciliativa, è sicuramente un grande incentivo nei confronti di coloro che hanno sempre guardato con diffidenza alla conciliazione, considerandola priva di garanzie effettive, sia in merito allo svolgimento della procedura, sia con riferimento ai suoi effetti.
L’esecutività del verbale rappresenta il punto cardine, la garanzia massima, intorno al quale può ruotare una maggiore fiducia degli operatori economici verso tali strumenti rendendoli davvero preferibili.
Pur non essendo una vera e propria novità a livello legislativo, l’esecutività del verbale di conciliazione nelle controversie societarie possiede qualche elemento nuovo: per la prima volta infatti la norma non riporta soltanto la laconica e generica espressione che fa riferimento soltanto all’efficacia del titolo esecutivo tout court, ma specifica che tale esecutività è piena in quanto valida “per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.
La legge sottopone, però, l’efficacia esecutiva del verbale ad alcune condizioni: dal punto di vista sostanziale è evidente che l’efficacia esecutiva è legata al rispetto di tutte le condizioni di cui agli art. 38-40 del D.L.vo 5/03, e cioè che si tratti di una delle controversie oggetto della riforma, che la procedura di conciliazione sia stata esperita dinanzi ad un organismo accreditato (e quindi in possesso dei requisiti richiesti dalla legge), che abbia seguito tutte le norme di carattere procedurale (tentativo di accordo tra le parti, ovvero successiva eventuale proposta del conciliatore), ove questo lo richiedano.
Dal punto di vista formale, invece, l’esecutività è concessa previa omologazione del verbale da parte del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione (art. 40, c. 8) il quale deve preventivamente verificare la regolarità formale del verbale basata sul fatto che la procedura si sia svolta dinanzi ad un organismo accreditato, che la controversia sia tra quelle oggetto della disciplina di cui all’art. 1 D.L.vo 5/03, che il verbale di conciliazione sia sottoscritto dal conciliatore e dalle parti.
Il Presidente del Tribunale procede all’omologazione dell’apposito verbale in cui vengono riportati gli estremi dell’accordo ed i relativi obblighi reciproci tra le parti.
Il Ruolo degli Avvocati nella conciliazione
La procedura stragiudiziale attraverso la quale un terzo imparziale, il conciliatore, assiste le parti in conflitto facilitandone la c
omunicazione, facendone affiorare gli interessi, identificando i punti della controversia ed orientandoli verso la ricerca di accordi reciprocamente soddisfacenti, è definita “conciliazione facilitativa” :
La procedura stragiudiziale attraverso la quale un terzo imparziale, il conciliatore, assiste le parti in conflitto facilitandone la comunicazione, facendone affiorare gli interessi, identificando i punti della controversia e formulando, infine, una proposta di soluzione del conflitto non vincolante per le parti, che potranno decidere se farla propria sottoscrivendo l’accordo, viene definita ”conciliazione valutativa”.
Nella conciliazione non c’è un terzo giudicante che deve essere convinto a dare ragione: l’avvocato agisce come consulente del cliente in una negoziazione giudicata da un terzo imparziale, e deve prendere decisioni rapide ed essere preparato a lavorare sugli interessi come elemento sottostante alle pretese delle parti. Da ciò consegue che l’avvocato deve espletare la propria attività con un atteggiamento diverso da quello che solitamente assume nei processi giudiziari.
Il processo giudiziario è finalizzato a verificare i fatti e ad applicare la norma legale che contempla la soluzione; ciò obbliga a conoscere la verità con innumerevoli limitazioni che riducono “la verità” ai “fatti provati” in corso di causa. Non è compito degli organi giudiziari verificare che la sentenza soddisfi gli interessi-motivazioni delle parti: ciò è estraneo alla loro funzione.
I conflitti di solito hanno una struttura complessa, sono formati da diversi elementi, alcuni oggettivi – inadempimenti contrattuali, danneggiamenti, ecc. – e altri soggettivi – percezioni parziali, comunicazioni inefficaci, malintesi, diffidenze, aspettative mancate, ecc. -.
I magistrati e gli avvocati svolgono la loro attività selezionando gli elementi della controversia che permettono di inquadrare il caso in una delle categorie giuridiche esistenti, senza valutare altri aspetti come, ad esempio, le conseguenze per i futuri rapporti tra le parti e la possibilità di prendere in considerazione un’alternativa più favorevole quale il raggiungimento di un accordo. Al magistrato non interessa e non può interessare conoscere il modo in cui ogni parte percepisce il conflitto, perché non ha bisogno di quella informazione per adempiere al suo dovere. Al magistrato è sufficiente analizzare le pretese, verificare se i fatti allegati sono stati provati ed individuare la normativa applicabile. Gli avvocati invece hanno una funzione importante nell’identificazione dei punti sostanziali delle controversie e nell’orientamento dei clienti verso la procedura più adeguata per la risoluzione; devono, quindi, prepararsi a risolvere i problemi sotto diverse prospettive e ad utilizzare una varietà di strumenti per svolgere la loro funzione.
Nell’esercizio tradizionale della professione forense, solitamente si parte da due presunzioni:
– che in una disputa le parti sono avversari, e quindi se una vince, l’altra deve necessariamente perdere. Si tratta di uno schema vincente-perdente nel quale ogni parte è costretta ad enfatizzare le proprie posizioni dinanzi al terzo giudicante.
– Che i conflitti debbono essere risolti applicando una regola generale di diritto da parte di un terzo imparziale.
I presupposti della conciliazione, invece, ipotizzano:
– che tutte le parti possono avvantaggiarsi con l’individuazione di una soluzione creativa.
– Che ogni conflitto è differente e non deve necessariamente essere risolto tramite l’applicazione di un principio generale di diritto o l’attività di aggiudicazione svolta da un terzo imparziale.
Con la conciliazione il campo di intervento degli avvocati si allarga e ridefinisce una figura di avvocato con ruoli diversi:
– l’avvocato come gestore dei conflitti che orienta il cliente nell’individuazione del sistema più conveniente per la specifica controversia;
– l’avvocato nei processi alternativi non avversariali, come negoziatore e come consulente di parte nelle conciliazioni;
– l’avvocato come terzo imparziale, come conciliatore e facilitatore.
Per assistere in forma efficace il cliente, gli avvocati possono agire la professione sotto diversi aspetti:
1 – consulenza prima della conciliazione
L’avvocato interverrà per orientare il cliente nella:
a) scelta del sistema più adeguato (conciliazione, arbitrato, causa giudiziaria)
b) valutazione dei vantaggi e svantaggi di ogni metodo nel caso particolare: criteri oggettivi applicabili, costi, tempi conseguenze ecc.;
c) identificazione delle alternative possibili nel caso di mancato accordo in sede conciliativa e della migliore alternativa all’accordo negoziato;
d) gestione dell’emotività del cliente;
e) manifestazione di fiducia nel metodo scelto – conciliazione, arbitrato, causa – e spiegazione della diversità di approccio del cliente e del legale di ognuno;
f) preparazione (identificazione degli interessi del cliente, della strategia negoziale, delle alternative);
2 – Durante la conciliazione
Il modo migliore di partecipare è istruire il proprio cliente sulle conseguenze nel caso di mancato accordo, sulle alternative possibili fuori della conciliazione e fornire alcune tecniche di negoziazione da concordare con i clienti, lasciando loro il ruolo di protagonisti. Anche nei casi in cui l’avvocato partecipa più attivamente non deve mai sostituirsi al cliente.
L’avvocato deve eseguire, svolgere e fungere:
a) inquadramento e valutazione giuridica della posizione del cliente;
b) consulenza sui parametri oggettivi durante la conciliazione;
c) controllo dell’imparzialità e della riservatezza del conciliatore;
d) co-definitore della migliore alternativa all’accordo negoziato;
e) co-disegnatore della strategia di negoziazione;
f) co-estensore dell’accordo;
3 – Dopo la conciliazione
L’avvocato può:
a) gestire, quando prevista, l’omologazione degli accordi raggiunti;
b) agire per ottenere l’adempimento degli accordi.
Se guardiamo la situazione giudiziaria del Paese si nota che stiamo attraversando il momento più difficile in tema giustizia, ecco perché, l’introduzione di una conciliazione volontaria, ma amministrata, cioè la possibilità di affidare la conciliazione ad organismi privati, purchè assoggettati a forme di controllo da parte della pubblica amministrazione più in particolare dal Ministero di Giustizia, non potrà che non portare benefici alla gente che, ha bisogno di comportamenti lineari in tema di giustizia sociale.
Un valore aggiunto per gli utenti, una possibilità in più per l’Avvocatura.
Ufficio di Presidenza
Unione Triveneta dei Consigli degli Ordini
Allegati: normativa di riferimento – D. L.vo 5/2003, DM 222/04, DM 223/04
Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5
“Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366”
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2003 – Supplemento Ordinario n. 8
________________________________________
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la legge 3 ottobre 2001, n. 366, concernente delega al Governo per l’emanazione di uno o piu’ decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle societa’ di capitali e cooperative, la disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le societa’ commerciali, nonche’ nuove norme sulla procedura per la definizione dei procedimen
ti nelle materie di cui all’articolo 12 della legge di delega;
Visto in particolare l’articolo 12 della citata legge 3 ottobre 2001, n. 366, concernente i procedimenti in materia di diritto societario e i procedimenti nelle materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, approvato con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 30 settembre 2002;
Visto il parere del Parlamento a norma dell’articolo 1, comma 4, della legge 3 ottobre 2001, n. 366;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 10 gennaio 2003;
Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro delle attivita’ produttive;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:
Titolo
I NUOVE NORME DI PROCEDURA
Art. 1.
Ambito di applicazione
1. Si osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le controversie, incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile, relative a:
a) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le societa’ di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilita’ da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle societa’, delle mutue assicuratrici e delle societa’ cooperative;
b) trasferimento delle partecipazioni sociali, nonche’ ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;
c) patti parasociali, anche diversi da quelli disciplinati dall’articolo 2341-bis del codice civile, e accordi di collaborazione di cui all’articolo 2341-bis, ultimo comma, del codice civile;
d) rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di investimento, gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di strumenti finanziari, vendita di prodotti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa;
e) materie di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, quando la relativa controversia e’ promossa da una banca nei confronti di altra banca ovvero da o contro associazioni rappresentative di consumatori o camere di commercio;
f) credito per le opere pubbliche.
2. Restano ferme tutte le norme sulla giurisdizione. Spettano esclusivamente alla corte d’appello tutte le controversie di cui agli articoli 145 decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e 195 decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
3. Salvo che nelle controversie di cui al comma 1, lettera e), il tribunale giudica in composizione collegiale. Nelle azioni promosse da o contro associazioni rappresentative dei consumatori e dalle camere di commercio il tribunale giudica in composizione collegiale anche se relative alle materie di cui al comma 1, lettera e).
4. Per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili.
5. Quando rileva che una causa relativa ad uno dei rapporti di cui al comma 1 e’ stata proposta in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone con ordinanza il mutamento di rito e la cancellazione della causa dal ruolo; dalla comunicazione dell’ordinanza decorrono, se emessa a seguito dell’udienza di prima comparizione, i termini di cui all’articolo 6 ovvero, in ogni altro caso, i termini di cui all’articolo 7; restano ferme le decadenze gia’ maturate.
Titolo II
DEL PROCESSO DI COGNIZIONE DAVANTI AL TRIBUNALE
Capo I
del procedimento di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale
Art. 2.
Contenuto dell’atto di citazione
1. La domanda si propone al tribunale mediante citazione contenente:
a) le indicazioni di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6 dell’articolo 163 del codice di procedura civile;
b) l’indicazione del numero di fax o dell’indirizzo di posta elettronica presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento;
c) la fissazione di termine al convenuto, non inferiore a sessanta giorni dalla notificazione della citazione, per la notifica al difensore dell’attore della comparsa di risposta. In difetto di fissazione da parte dell’attore, o in caso di insufficienza, il termine e’ di sessanta giorni.
Art. 3.
Costituzione dell’attore
1. L’attore, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione, ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione dei termini a norma dell’articolo 163-bis, secondo comma, del codice di procedura civile, deve costituirsi in giudizio a mezzo di procuratore, depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo e il fascicolo contenente l’originale o la copia della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio, in esso inserendo tutti gli atti e documenti successivamente depositati dalle parti; analogamente provvede nel caso di cui all’articolo 13, comma 1.
2. Se la citazione e’ notificata a piu’ persone, la costituzione dell’attore deve avvenire entro dieci giorni dall’ultima notificazione. In tale caso il termine di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), e’ prolungato, per ciascun convenuto, fino al sessantesimo giorno successivo all’iscrizione a ruolo.
Art. 4.
Comparsa di risposta
1. Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’altra parte a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, proporre le domande riconvenzionali dipendenti dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che gia’ appartiene alla causa come mezzo di eccezione, dichiarare di voler chiamare in causa i terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni, formulare le conclusioni. Nella stessa comparsa il convenuto deve indicare il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento.
2. Nella comparsa di risposta il convenuto, fermo quanto disposto nell’articolo 8, comma 2, lettera c), fissa all’attore un termine non inferiore a trenta giorni dalla notificazione della stessa comparsa per eventuale replica. In caso di omessa o insufficiente indicazione, il termine e’ di trenta giorni. Nel caso di pluralita’ di convenuti, anche a seguito di chiamata in causa, il termine fissato all’attore per la replica non puo’ eccedere i sessanta giorni; l’inosservanza di tale termine puo’ essere eccepita anche dagli altri convenuti.
3. Se dichiara di voler chiamare in causa terzi, il convenuto deve notificare loro l’atto di citazione a norma dell’articolo 2.
Art. 5.
Forme e termini della costituzione del convenuto
1. Il convenuto deve costituirsi a mezzo di procuratore depositando in cancelleria, entro 10 giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), ovvero del termine di cui all’articolo 3, comma 2, il fascicolo contenente l’originale ovvero la copia della comparsa di risposta notificata all’attore, la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione.
2. In assenza di documenti da depositare, di domande riconvenzionali o di chiamata di terzi, il convenuto che abbia tempestivamente notificato la comparsa di risposta puo’ costituirsi entro dieci giorni dalla notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza a cui abbia provveduto altra parte.
Art. 6.
M
emoria di replica dell’attore
1. Nel termine fissatogli a norma dell’articolo 4, comma 2, l’attore puo’ replicare con memoria notificata al convenuto e depositata in cancelleria, nonche’ depositare nuovi documenti.
2. Nella memoria di replica l’attore puo’:
a) precisare o modificare le domande e le conclusioni gia’ proposte;
b) proporre nuove domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle difese proposte dal convenuto;
c) dichiarare che intende chiamare un terzo ai sensi dell’articolo 106 del codice di procedura civile, se l’esigenza e’ sorta dalle difese del convenuto;
d) depositare nuovi documenti in cancelleria, ovvero formulare nuove richieste istruttorie.
3. L’attore, nella memoria di replica, deve fissare al convenuto un termine non inferiore a venti giorni per ulteriore memoria difensiva. Il termine e’ di trenta giorni se l’attore ha proposto nuove domande.
4. Nel caso della dichiarazione di cui al comma 2, lettera c), l’attore notifica al terzo l’atto di citazione ai sensi dell’articolo 2.
Art. 7.
Repliche ulteriori
1. Il convenuto, se non ritiene di notificare istanza di fissazione di udienza, puo’ notificare, nel termine fissatogli a norma dell’articolo precedente o, in mancanza, nel termine di trenta giorni, una seconda memoria difensiva, contenente l’eventuale indicazione di nuovi documenti e richieste istruttorie, nonche’ la fissazione di un termine, non inferiore a sedici giorni dalla notificazione, per una ulteriore replica.
2. L’attore, se non ritiene di notificare istanza di fissazione di udienza, puo’ notificare al convenuto una ulteriore replica a norma dell’articolo 6, comma 2; in tale caso, il convenuto puo’ notificare una memoria di controreplica nel termine, non inferiore a sedici giorni, assegnatogli o, in mancanza, nel termine di sedici giorni dalla notificazione.
3. L’attore, finche’ non ha notificato l’istanza di fissazione di udienza ed in alternativa alla sua proposizione, puo’ notificare ulteriore memoria alle altre parti, nel termine perentorio di otto giorni dalla ricezione della memoria di controreplica del convenuto. Lo stesso potere spetta alle altre parti nei successivi otto giorni. Alle medesime condizioni e’ ammesso lo scambio di ulteriori memorie tra le parti, finche’ non e’ decorso il termine massimo di ottanta giorni dalla notifica della memoria di controreplica di cui al comma 2.
Art. 8.
Istanza di fissazione di udienza
1. L’attore puo’ notificare alle altre parti istanza di fissazione di udienza, entro sedici giorni:
a) dalla data di notifica della comparsa di risposta del convenuto cui non intende replicare, ovvero dalla scadenza del termine di costituzione dello stesso;
b) in caso di chiamata di terzo da parte del convenuto, dalla data di notifica della comparsa di risposta del terzo chiamato ovvero dalla scadenza del termine di costituzione dello stesso;
c) dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare.
2. Il convenuto puo’ notificare alle altre parti istanza di fissazione di udienza, entro sedici giorni:
a) se ha proposto domanda riconvenzionale ovvero ha sollevato eccezioni non rilevabili d’ufficio, dalla data di notifica della memoria di replica dell’attore ovvero dalla scadenza del relativo termine;
b) se ha chiamato in causa terzi, dalla data di notifica della comparsa di risposta del terzo chiamato ovvero dalla scadenza del termine di costituzione dello stesso;
c) al di fuori dei casi precedenti, dalla data della propria costituzione in giudizio, ovvero dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare.
3. Il terzo chiamato puo’ notificare alle altre parti istanza di fissazione di udienza, entro sedici giorni:
a) se ha proposto domanda riconvenzionale, dalla data di notifica della memoria di replica dell’attore o del convenuto ovvero dalla scadenza del relativo termine;
b) al di fuori del caso precedente, dalla data della propria costituzione in giudizio, ovvero dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare.
4. La mancata notifica dell’istanza di fissazione di udienza nei quindici giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all’articolo 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all’articolo 7, comma 3, determina l’estinzione del processo rilevabile anche d’ufficio. Il rilievo d’ufficio e’ precluso se l’udienza si e’ comunque svolta con la partecipazione di almeno una parte; in tal caso l’estinzione deve comunque essere eccepita, a pena di decadenza, entro la stessa udienza.
5. L’istanza di fissazione presentata fuori dei casi stabiliti dal presente articolo e’ dichiarata inammissibile, su richiesta della parte interessata depositata in cancelleria nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica dell’istanza, dal presidente che, sentite le parti, provvede con ordinanza non impugnabile; con lo stesso provvedimento, il presidente assegna il termine per lo svolgimento delle ulteriori attivita’ eventualmente necessarie.
Art. 9.
Contenuto dell’istanza di fissazione di udienza e termine per il deposito in cancelleria
1. L’istanza di fissazione dell’udienza deve sempre contenere le conclusioni, di rito e di merito, con esclusione di ogni modificazione delle domande, nonche’ la definitiva formulazione delle istanze istruttorie gia’ proposte. In mancanza, si intendono formulate le conclusioni di cui al primo atto difensivo dell’istante.
2. Nell’istanza di fissazione dell’udienza o nella nota di precisazione delle conclusioni di cui all’articolo 10, comma 1, ciascuna parte puo’ indicare le condizioni alle quali sarebbe disposta a conciliare la lite. Questa indicazione non pregiudica in alcun modo la decisione della causa.
3. La parte e’ tenuta al deposito in cancelleria dell’istanza di fissazione di udienza nel termine perentorio di dieci giorni dall’ultima notificazione. Se l’istanza e’ fatta congiuntamente, ciascuna delle parti puo’ provvedere al deposito.
Art. 10.
Effetti della notificazione dell’istanza di fissazione di udienza
1. A seguito della notificazione dell’istanza di fissazione di udienza, le altre parti devono, nei dieci giorni successivi, depositare in cancelleria una nota contenente la definitiva formulazione delle istanze istruttorie e delle conclusioni di rito e di merito gia’ proposte, esclusa ogni loro modificazione. In mancanza, si intendono formulate le istanze e le conclusioni di cui al primo atto difensivo.
2. Salvo quanto disposto dall’articolo 12, comma 8, e dall’articolo 13, comma 3, a seguito della notificazione dell’istanza di fissazione di udienza tutte le parti decadono dal potere di proporre nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare o modificare domande o eccezioni gia’ proposte, nonche’ di formulare ulteriori istanze istruttorie e depositare nuovi documenti. La decadenza puo’ essere dichiarata soltanto su eccezione della parte interessata, da proporsi nella prima istanza o difesa successiva a norma dell’articolo 157 del codice di procedura civile.
Art. 11.
Istanza congiunta di fissazione di udienza
1. Le parti possono presentare istanza congiunta di fissazione dell’udienza. Se intendono ottenere la decisione di questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, ovvero relative alla integrita’ del contraddittorio, alla partecipazione di terzi al processo, o all’ammissibilita’ delle prove, in ogni caso devono precisare integralmente le rispettive conclusioni.
2. Il tribunale provvede con ordinanza non impugnabile in ogni caso in cui, decidendo le questioni di cui al comma 1, non definisce il giudizio. Il provvedimento sulla competenza e’ impugnabile ai sensi degli articoli 42 e seguenti del codice di procedura civile.
3. Entro il termine perentorio di tre mesi dalla comunicazione dell’ordinanza, l’attore deve notificare alle altre parti memoria di replica o, se gia’ era stata notificata, di ulteriore repl
ica; si applicano, rispettivamente, gli articoli 6 e 7. In caso di provvedimento che conferma la competenza del tribunale adito, il termine decorre dalla sua comunicazione.
Art. 12.
Designazione del giudice relatore e decreto di fissazione dell’udienza
1. Decorsi dieci giorni dal deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza, il cancelliere, presenta senza indugio al presidente il fascicolo d’ufficio contenente tutti gli atti e documenti depositati dalle parti.
2. Il presidente, entro il secondo giorno successivo alla presentazione del fascicolo, designa il giudice relatore. Questi, entro cinquanta giorni dalla designazione, sottoscrive e deposita in cancelleria il decreto di fissazione dell’udienza, da comunicare alle parti costituite. Per comprovate ragioni, il presidente puo’ prorogare il termine a norma dell’articolo 154 del codice di procedura civile.
3. Il decreto deve contenere:
a) la fissazione dell’udienza collegiale che deve tenersi non prima di dieci e non oltre trenta giorni dalla comunicazione del decreto stesso;
b) l’ammissione di mezzi istruttori disponibili d’ufficio o dei mezzi di prova richiesti dalle parti, nonche’ la succinta esposizione delle ragioni di inammissibilita’ o irrilevanza delle istanze istruttorie;
c) l’indicazione delle questioni, di rito e di merito, rilevabili d’ufficio;
d) l’invito alle parti, ove appaia opportuno, a comparire personalmente all’udienza per l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione, nonche’, ove taluna di esse abbia dichiarato le condizioni alle quali sia disposta a conciliare, l’invito alle altre parti a prendere all’udienza esplicita posizione sulle stesse;
e) l’invito alle parti a depositare, almeno cinque giorni prima dell’udienza, memorie conclusionali, anche indicando le questioni bisognose di trattazione;
f) il deferimento del giuramento suppletorio a norma dell’articolo 13, comma 2.
4. Il giudice relatore dichiara l’interruzione del processo con ordinanza non impugnabile se l’evento interruttivo, avveratosi nei riguardi della parte che si e’ costituita a mezzo di procuratore, e’ stato notificato alle altre parti entro il termine perentorio di giorni novanta dall’evento stesso. Nei casi in cui l’interruzione opera di diritto, a norma del codice di procedura civile, il giudice la dichiara con effetto dal momento del verificarsi dell’evento interruttivo.
5. Ove l’eccezione di estinzione proposta da una parte appaia fondata e nei casi previsti dagli articoli 8, comma 4, e 13, comma 1, il giudice relatore, convocate le parti costituite, dichiara l’estinzione del processo con ordinanza, reclamabile nel termine di dieci giorni dalla comunicazione. Il collegio provvede a norma dell’articolo 308, secondo comma, del codice di procedura civile.
6. Con il decreto, ove sussista l’esigenza di regolarizzazione ai sensi dell’articolo 182 del codice di procedura civile, il giudice assegna un termine non inferiore a trenta giorni e non superiore a sessanta per i necessari adempimenti e fissa l’udienza di discussione entro i successivi trenta giorni.
7. Con il decreto che dichiara la nullita’ della notificazione della citazione al convenuto, se questi non si e’ costituito, il giudice fissa all’attore un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per la rinnovazione.
8. Con il decreto, se sussiste l’esigenza di integrare il contraddittorio a norma degli articoli 102 e 107 del codice di procedura civile, il giudice fissa un termine non inferiore a trenta giorni per provvedere alla notificazione ai litisconsorti e ai terzi di tutti gli scritti difensivi gia’ scambiati; concede ai litisconsorti e ai terzi un termine non inferiore a quaranta giorni e non superiore a sessanta per costituirsi mediante deposito di memoria notificata alle altre parti, anche non costituite, e ulteriori trenta giorni alle parti originarie per l’eventuale replica. L’udienza davanti al collegio e’ fissata entro i successivi trenta giorni con decreto emesso a norma del presente articolo, ma il presidente puo’, su istanza dei litisconsorzi o dei terzi, concedere loro un termine non superiore a sessanta giorni per controreplicare, fissando l’udienza entro i successivi trenta giorni.
Art. 13.
Contumacia dell’attore e del convenuto; rilevabilita’ dell’inammissibilita’ di allegazioni, istanze, istruttorie e produzioni documentali.
1. Se l’attore non si costituisce nel termine di cui all’articolo 3, il convenuto, costituendosi nel termine a lui assegnato a norma dell’articolo 5, comma 1, puo’, nella comparsa di risposta, eccepire l’estinzione del processo e depositare istanza di fissazione dell’udienza; altrimenti, procede a norma dell’articolo 4, comma 2.
2. Se il convenuto non notifica la comparsa di risposta nel termine stabilito a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera c), ovvero dell’articolo 3, comma 2, l’attore, tempestivamente costituitosi, puo’ notificare al convenuto una nuova memoria a norma dell’articolo 6, ovvero depositare istanza di fissazione dell’udienza; in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto si sia tardivamente costituito, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa; se lo ritiene opportuno, il giudice deferisce all’attore giuramento suppletorio.
3. Se nessuna delle parti si sia costituita nel termine rispettivamente assegnato, l’istanza di fissazione dell’udienza puo’ essere sempre proposta dalla parte che si sia costituita, mediante deposito in cancelleria, unitamente ai propri scritti difensivi e ai documenti offerti in comunicazione. Dell’avvenuto deposito dell’istanza deve essere data notizia mediante atto notificato alle altre parti, le quali possono costituirsi nei dieci giorni successivi, depositando i propri scritti difensivi, i documenti offerti in comunicazione e la nota contenente la formulazione delle rispettive conclusioni. Nei confronti della parte che non si costituisce, si applica, rispettivamente, il comma 1 o 2.
4. Fermo quanto disposto dai commi 1, 2 e 3, l’inosservanza dei termini previsti dagli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7 e’ rilevabile ad istanza della parte che vi abbia interesse.
5. Nel decreto di fissazione dell’udienza il giudice, valutata ogni circostanza, puo’ rimettere in termini la parte che da irregolarita’ procedimentali abbia risentito pregiudizio nel suo diritto di difesa. Rimane ferma l’inammissibilita’, purche’ eccepita, delle eccezioni non rilevabili d’ufficio, delle allegazioni, delle istanze istruttorie proposte, nonche’ dei documenti depositati dal convenuto dopo la seconda memoria difensiva ovvero dall’attore dopo la memoria successiva alla proposizione della domanda riconvenzionale.
Art. 14.
Interventi autonomi
1. Salvo che sia effettuato per l’integrazione necessaria del contraddittorio, ovvero a norma dell’articolo 107 del codice di procedura civile, l’intervento di terzi a norma dell’articolo 105, comma primo, del codice di procedura civile non puo’ aver luogo oltre il termine previsto per la notifica da parte del convenuto della comparsa di risposta.
2. Il terzo deve costituirsi a norma dell’articolo 5, comma 1, fissando alle altre parti un termine per la replica non inferiore a trenta e non superiore a novanta giorni dalla notificazione della comparsa di intervento.
3. Ciascuna delle parti originarie, con propria memoria, puo’ proporre istanza di fissazione dell’udienza affinche’ venga decisa la questione di ammissibilita’ dell’intervento, con ordinanza reclamabile nelle forme dell’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile e nel termine perentorio di dieci giorni dalla sua comunicazione; ovvero puo’ fissare un termine, non inferiore a trenta giorni, al terzo intervenuto perche’ questi provveda alla notificazione di una sua memoria; in quest’ultimo caso il terzo, se non procede alla notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza, con la propria memoria fissa alle altre parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta per una ulteriore replica.
Art. 15.
Intervento adesivo dipendente
1. Colui
che, avendovi interesse, vuole sostenere le ragioni di alcuna delle parti, puo’ intervenire fino al deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza, ma non puo’ compiere atti che, al momento dell’intervento, non sono piu’ consentiti alle parti originarie. Tuttavia, se il terzo deduce il dolo o la collusione delle parti in suo danno, il giudice, ove ritenga fondata la deduzione, lo rimette in termini provvedendo a norma dell’articolo 13, comma 5.
2. In ogni caso, il terzo intervenuto a norma del presente articolo e’ legittimato all’impugnazione della sentenza.
3. Per intervenire, il terzo deve costituirsi in giudizio depositando in cancelleria una comparsa notificata alle altre parti, con i documenti che offre in comunicazione.
Art. 16.
Udienza di discussione della causa
1. Se nessuna delle parti costituite compare all’udienza, il tribunale ordina la cancellazione della causa dal ruolo.
2. Quando nel decreto e’ contenuto l’invito alle parti a comparire di persona, il presidente le interroga liberamente ed esperisce, se la natura della causa lo consente, il tentativo di conciliazio