Delibera n° 3/09
L’assemblea dell’Unione Triveneta, riunita a Bolzano il 18.4.2009,
VISTA:
– la sentenza della Corte di Giustizia del 29 gennaio 2009, in causa C-311/06, riguardante un cittadino italiano laureato in ingegneria meccanica in Italia che, dopo avere chiesto ed ottenuto l’omologazione del diploma di laurea italiano in Spagna e, quindi, l’iscrizione all’albo di uno dei colegios de ingenieros técnicos industriales della Catalogna, in applicazione del D.Lgs. 115/1992, aveva conseguito il riconoscimento del titolo spagnolo con decreto ministeriale, impugnato avanti il Giudice Amministrativo dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri
RILEVATO
– che la Corte di Giustizia, nella menzionata sentenza, afferma i principi di seguito riportati, che devono trovare applicazione da parte delle Autorità amministrative interessate e, dunque, da parte degli Ordini professionali e cioè:
“La direttiva 89/48 mira a sopprimere gli ostacoli all’esercizio di una professione in uno Stato membro diverso da quello che ha rilasciato il titolo che attribuisce le qualifiche professionali in oggetto. Dal primo, terzo e quinto ‘considerando’ di detta direttiva risulta che un titolo che sancisca formazioni professionali non può essere assimilato ad un «diploma» ai sensi della stessa direttiva in assenza dell’acquisizione, totale o parziale, delle qualifiche nel contesto del sistema dell’istruzione dello Stato membro che ha rilasciato il titolo de quo. La Corte ha peraltro già avuto modo di sottolineare che un titolo facilita l’accesso ad una professione ovvero il suo esercizio in quanto attesti il possesso di una qualifica supplementare (v., in tal senso, sentenze 31 marzo 1993, causa C 19/92, Kraus, Racc. pag.I 1663, punti 18 23, e 9 settembre 2003, causa C 285/01, Burbaud, Racc. pag. I 8219, punti 47 53).
… Accettare, in tale contesto, che la direttiva 89/48 possa essere invocata al fine di beneficiare dell’accesso alla professione regolamentata nella causa principale in Italia si risolverebbe nel consentire ad un soggetto che abbia conseguito esclusivamente un titolo rilasciato da tale Stato membro che, di per sé, non dà accesso a detta professione regolamentata di accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo di omologazione conseguito in Spagna attesti una qualifica supplementare o un’esperienza professionale. Un siffatto risultato sarebbe contrario al principio sancito dalla direttiva 89/48, ed enunciato al suo quinto ‘considerando’, secondo cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio. …
Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che l’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 deve essere interpretato nel senso che la definizione della nozione di «diploma» che esso prevede non include il titolo rilasciato da uno Stato membro che non attesti alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro. …
Di conseguenza, la prima questione deve essere risolta nel senso che le disposizioni della direttiva 89/48 non possono essere invocate, al fine di accedere ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte del titolare di un titolo rilasciato da un’autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.”
VISTA
– la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore, che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, nella versione modificata dalla direttiva 2001/19/CEE (ora sostituita dalla direttiva del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CEE) e in particolare:
• il terzo ‘considerando’ di tale direttiva che così recita: «considerando che, onde soddisfare rapidamente le aspettative dei cittadini europei in possesso di diplomi di istruzione superiore che sancisc[o]no formazioni professionali e sono rilasciati in uno Stato membro diverso da quello nel quale essi desiderano esercitare la loro professione, è opportuno istituire anche un altro metodo di riconoscimento di detti diplomi atto ad agevolare l’esercizio di tutte le attività professionali subordinate in un determinato Stato membro ospitante al possesso di una formazione post-secondaria, sempreché essi siano in possesso di siffatti diplomi che li preparino a dette attività, sanzionino un ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati rilasciati in un altro Stato membro».
• il quinto ‘considerando’ della suddetta direttiva, che precisa quanto segue: «considerando che, relativamente alle professioni per il cui esercizio la Comunità non ha stabilito il livello minimo di qualifica necessario, gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire detto livello allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio; che tuttavia essi non possono, senza violare gli obblighi loro incombenti in virtù dell’articolo 5 del Trattato, imporre ad un cittadino di uno Stato membro di acquisire qualifiche che essi di solito si limitano a determinare riferendosi ai diplomi rilasciati nel quadro dei loro sistemi nazionali di insegnamento, quando l’interessato ha già acquisito in tutto o in parte dette qualifiche in un altro Stato membro; che ogni Stato membro ospitante nel quale una professione è regolamentata è pertanto tenuto a prendere in considerazione le qualifiche acquisite in un altro Stato membro e ad esaminare se esse corrispondono a quelle prescritte dalle disposizioni nazionali».
• l’art. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/48, il quale dispone che: «Ai sensi della presente direttiva si intende:
a) per diploma, qualsiasi diploma, certificato o altro titolo o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli:
– che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro, designata in conformità delle sue disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
– da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un’università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari e
– dal quale risulti che il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla,
quando la formazione sancita dal diploma, certificato o altro titolo è stata acquisita in misura preponderante nella Comunità o quando il titolare ha un’esperienza professionale di tre anni, certificata dallo Stato membro che ha riconosciuto il diploma, certificato o altro titolo rilasciato in un paese terzo.
È assimilato a un diploma ai sensi del primo comma qualsiasi diploma, certificato o altro titolo, o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità e riconosciuta da un’autorità competente in tale Stato membro come formazione di livello equivalente e qualora esso conferisca gli stessi diritti d’accesso e d’esercizio di una professione regolamentata;
b) per Stato membro ospitante, lo Stato membro nel quale un cittadino di un altro Stato membro chiede di esercitare una professione ivi regolamentata senza aver ottenuto nello stesso il suo diploma o avervi esercitato per la prima volta la professione in questione».
• l’art. 2, primo comma, della direttiva 89/48, il quale così recita: «La presente d
irettiva si applica a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante».
• l’art. 3, primo comma, lett.a), della direttiva 89/48, che prevede quanto segue: «Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:
a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro (…)».
CONSIDERATO
– che l’iscrizione a un Colegio de Abogados spagnolo avviene, generalmente, sulla base dell’omologazione spagnola del diploma universitario italiano, ai sensi del Regio Decreto 20 febbraio 2004, 285/2005, recante la disciplina spagnola delle condizioni per l’omologazione e la convalida di diplomi e/o corsi di studi superiori stranieri (BOE n. 55 del 4 marzo 2004, pag. 8996), in vigore del 4 settembre 2004;
– che la procedura di omologazione mira a sottoporre a verifica esclusivamente il contenuto accademico, in termini di conoscenze, degli studi seguiti per conseguire un diploma;
– che, infatti, la nozione di omologazione viene definita dall’art. 3, lett. a) e b) del predetto regio decreto spagnolo sull’omologazione, che è la seguente: «Ai sensi del presente regio decreto, si intende per:
a) omologazione dell’equivalenza ad un diploma dell’elenco dei diplomi universitari ufficiali: il riconoscimento ufficiale della formazione ricevuta per il conseguimento di un diploma straniero, riconosciuta come equivalente a quella richiesta per il conseguimento di un diploma spagnolo menzionato nell’elenco citato;
b) omologazione dell’equivalenza ad uno dei gradi accademici in cui sono strutturati gli studi universitari in Spagna: il riconoscimento ufficiale della formazione ricevuta per il conseguimento di un diploma straniero, riconosciuta equivalente a quella richiesta per il conseguimento di un grado accademico corrispondente ad uno dei livelli in cui sono strutturati gli studi universitari spagnoli, e non ad un diploma concreto».
– che l’art. 4, n. 1, del regio decreto spagnolo sull’omologazione specifica nei seguenti termini gli effetti dell’omologazione: «L’omologazione conferisce al diploma straniero, dal momento in cui viene accordata e dal momento in cui la corrispondente attestazione viene rilasciata, gli stessi effetti su tutto il territorio nazionale del diploma o del grado accademico spagnolo rispetto al quale esso viene omologato come equivalente, in conformità della legislazione in vigore»;
VISTI
– la direttiva del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CEE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica e in particolare:
– il secondo ‘considerando’ di tale direttiva, che così recita: “considerando che un avvocato in possesso di tutte le qualifiche prescritte in uno Stato membro può fin da ora chiedere il riconoscimento del proprio diploma per stabilirsi in un altro Stato membro, allo scopo di esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale di questo Stato membro a norma della direttiva 89/48/CEE, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di insegnamento superiore che sanzionano formazioni professionali della durata minima di tre anni; che tale direttiva ha lo scopo di garantire l’integrazione dell’avvocato nella professione dello Stato membro ospitante e non mira né a modificare le regole professionali in esso vigenti, né a sottrarre l’avvocato all’applicazione delle stesse”;
– il terzo “considerando” di tale direttiva, che così recita: “considerando che alcuni avvocati possono integrarsi rapidamente nella professione dello Stato membro ospitante, in particolare superando la prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48/CEE, mentre altri avvocati in possesso di tutte le qualifiche prescritte devono poter ottenere tale integrazione dopo un certo periodo di esercizio della professione nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale d’origine oppure continuare la loro attività con il titolo professionale d’origine”;
– il quinto “considerando” di tale direttiva, che così recita: “considerando che un’azione comunitaria in materia è giustificata non solo perché rispetto al sistema generale di riconoscimento offre agli avvocati un metodo più semplice che consente loro di integrarsi nella professione di uno Stato membro ospitante, ma anche perché, dando agli avvocati la possibilità di esercitare stabilmente con il loro titolo professionale d’origine in uno Stato membro ospitante, risponde alle esigenze degli utenti del diritto, che a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto particolarmente alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali”;
– il settimo “considerando” di tale direttiva, che così recita “considerando che la presente direttiva, in armonia con le sue finalità, si astiene dal disciplinare situazioni giuridiche puramente interne e lascia impregiudicate le norme nazionali dell’ordinamento professionale, salvo laddove ciò risulti indispensabile per consentire di conseguire pienamente i suoi scopi; che, in particolare, essa non lede in alcun modo la disciplina nazionale relativa all’accesso alla professione di avvocato e al suo esercizio con il titolo professionale dello Stato membro ospitante”;
– l’art. 1, comma 1, della direttiva 98/5/CEE, il quale dispone che “Scopo della presente direttiva è di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato, come libero professionista o come lavoratore subordinato, in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale.”
– l’art. 1, comma 2, della direttiva 98/5/CEE, il quale dispone che: “Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) avvocato: ogni persona, avente la cittadinanza di uno Stato membro, che sia abilitata ad esercitare le proprie attività professionali facendo uso di uno dei seguenti titoli professionali: ..
b) Stato membro di origine: lo Stato membro nel quale l’avvocato ha acquisito il diritto di utilizzare uno dei titoli professionali di cui alla lettera a) prima di esercitare la professione di avvocato in un altro Stato membro;
c) Stato membro ospitante: lo Stato membro nel quale l’avvocato esercita secondo le disposizioni della presente direttiva;
d) titolo professionale di origine: il titolo professionale dello Stato membro nel quale l’avvocato ha acquistato il diritto di utilizzare tale titolo prima di esercitare la professione di avvocato nello Stato membro ospitante; ..”:
– l’art. 1, comma 3, della direttiva 98/5/CEE, il quale dispone che: “La presente direttiva si applica agli avvocati che esercitano la professione sia come liberi professionisti che come lavoratori subordinati nello Stato membro di origine e, fatto salvo l’articolo 8, nello Stato membro ospitante.”.
CONSIDERATO
– che la direttiva 98/5/CE trova il suo presupposto logico-giuridico nella precedente direttiva 89/48/CEE, la quale (giova ribadire) ha lo scopo di garantire l’integrazione dell’avvocato nella professione dello Stato membro ospitante e non mira, né a modificare le regole professionali in esso vigente, né a sottrarre l’avvocato all’applicazione delle stesse e che non può essere invocata al fine di accedere ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte di titolare di un
titolo professionale rilasciato da un’autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi, né su un esame, né su una esperienza professionale acquisita in detto Stato membro;
– che, alla stessa stregua, la direttiva 98/5/CE, nell’esplicito scopo di semplificare la prosecuzione dell’esercizio della professione forense in uno Stato membro ospitante, prevede che la stessa si applichi agli avvocati che esercitano la professione nello Stato membro di origine e, fatta salva l’unica eccezione ivi prevista, nello Stato membro ospitante;
– che, pertanto, non sussiste alcun diritto di utilizzare un “titolo professionale di origine” (nel caso di specie, il titolo di “Abogado”) non acquisito al termine del percorso accademico e formativo/professionalizzante, previsto nello “Stato membro di origine” (nel caso in esame, formalmente, la Spagna), bensì sulla base dell’omologazione, da parte di tale Stato, del diploma di laurea conseguito nello “Stato membro ospitante” (nel caso in esame, formalmente, l’Italia: in realtà Stato in cui il percorso accademico e formativo dell’Interessato si è compiuto) e non suffragato dall’esercizio della professione forense nello “Stato membro di origine” (nel caso in esame, formalmente, la Spagna), non potendo la direttiva 98/5/CE essere invocata al fine di esercitare la professione di avvocato in uno “Stato membro ospitante” da parte di un titolare di “titolo professionale di origine”, conseguito con le modalità predette, in palese spregio della disciplina nazionale relativa all’accesso alla professione di avvocato e/o al suo esercizio dello “Stato membro ospitante” (in realtà tale solo in apparenza);
– che, per “titolo professionale di origine”, deve intendersi il titolo di avvocato acquisito nello Stato membro di origine, al termine di un percorso accademico/formativo/professionalizzante previsto e disciplinato dallo Stato membro di origine medesimo, nonché suffragato dall’esercizio della professione di avvocato nello Stato membro di origine
CONSIDERATO:
– che il D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 96, che introduce in Italia la disciplina di “Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione in uno Stato membro diverso da quello in qui è stata acquisita la qualifica professionale”, deve essere interpretato e applicato nel rispetto dei principi comunitari sopra enucleati;
RILEVATO:
– che la documentazione presentata dai laureati italiani che rientrano in Italia dopo avere acquisito il titolo professionale spagnolo depone spesso per l’inesistenza di qualsiasi esperienza accademica/formativa/professionalizzante conseguita in Spagna dall’Abogado finalizzata all’ottenimento della qualifica professionale forense e all’esercizio della professione forense in quel Paese, nonché per la mancanza dell’esercizio della professione di avvocato in Spagna;
– che detta documentazione attesta spesso che l’Abogado sopra indicato non ha mai esercitato effettivamente l’attività professionale di avvocato in Spagna;
– che detta documentazione dimostra, invece, che l’Abogado ha iniziato, svolto e completato in Italia sia il percorso accademico sia il percorso formativo finalizzato al conseguimento in Italia dell’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato;
– che, pertanto, l’iscrizione al Colegio de Abogados spagnolo quale “Colegiados Ejercitente” e il titolo di “Abogado” non attribuisce al soggetto italiano che lo spende il diritto di essere iscritto nella Sezione speciale degli avvocati stabiliti ex art. 6 D.Lgs. 96/2001 di un Albo degli Avvocati italiano, né di esercitare, in Italia, la professione di avvocato, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. stesso;
CONSIDERATO:
– che, ai sensi dell’art. 16, comma 2, R.D.L. 27 novembre 1578, il Consiglio dell’Ordine procede alla revisione dell’Albo e alle occorrenti variazioni, osservate per le cancellazioni le relative norme e che la cancellazione è sempre doverosa qualora la revisione accerti il difetto dei titoli e requisiti, in base ai quali fu disposta l’iscrizione;
– che, da quanto sin qui si è esposto, si prospetta la carenza, in capo al suddetto ipotetico Interessato, dei requisiti soggettivi necessari per l’iscrizione alla Sezione speciale dell’Albo degli Avvocati, istituita per gli stabiliti ex art. 6 D.Lgs. 96/2001 e il potere/dovere del Consiglio dell’Ordine di provvedere alla conseguente cancellazione;
tutto ciò premesso, l’Assemblea dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati all’unanimità
delibera
di esprimere profonda censura nei confronti della pratica, purtroppo diffusa e pubblicizzata anche da soggetti privati che ne sfruttano commercialmente l’opportunità, di completare gli studi universitari in Italia e trasferirsi, poi, in Spagna, al solo fine di acquisire il titolo professionale di Abogado e, successivamente, anche creando grave disparità di posizione rispetto agli iscritti italiani, rientrare in Italia per richiedere l’iscrizione negli elenchi speciali tenuti dagli Ordini italiani, ai sensi dell’art. 6 D. Lgs. 2 febbraio 2001 n. 96.
Invita i Consigli dell’Ordine del Triveneto ad adottare decisioni conformi, in analoghi casi dovessero presentarsi alla loro attenzione.
Si dà mandato all’Ufficio di Segreteria di dare massima diffusione alla presente, anche tramite l’Ufficio stampa, al fine di far comprendere le ragioni di interesse pubblico sottostanti alla suddetta decisione.
Approvata in assemblea a Bolzano il 18.4.2009