Discorsi di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2017 dei Presidenti Distrettuali
avv. Andrea de Bertolini – TRENTO
avv. Paolo Maria Chersevani – VENEZIA
Avv. Andrea de Bertolini – TRENTO
Signora Presidente della Corte d’Appello,
Signor Procuratore Generale,
Signore e Signori Consiglieri,
Autorità tutte, civili, religiose e militari,
Care Colleghe e Cari Colleghi, Magistrati tutti, Funzionari di Cancellerie e Segreterie,
partecipo a questa solenne cerimonia portando con orgoglio e onore il saluto dell’Avvocatura trentina, dell’Unione Triveneta, del Consiglio dell’Ordine di Trento (che ringrazio per il lavoro che quotidianamente svolge) e dell’Organismo Congressuale Forense, neocostituito organismo politico dell’Avvocatura, del quale sono rappresentante per il Distretto, con l’auspicio e l’augurio che sia per tutti, operatori del diritto e soprattutto per i cittadini, utenti del servizio giustizia, un proficuo Anno Giudiziario per il territorio regionale.***** *** *****
Una premessa cui tengo particolarmente.
Questa mattina, in quest’Aula, si compie un momento, per il Nostro territorio, dal valore fortemente simbolico. La geografia umana, oltre al contesto materiale, considera i “luoghi” come spazi “identitari”. E un “luogo”, a volte, può essere espressione di contenuti e approdi culturali di materica sintesi.
L’espressività “di luogo” di questa Assise palesa, per la prima volta all’inaugurazione trentina dell’Anno Giudiziario, l’organica compresenza sul palco di tutti i protagonisti della giurisdizione nel solco di una comune cultura della Giurisdizione, tesa all’interesse esclusivo del cittadino e della tutela dei diritti.
Con ciò, confermando non solo il significato del ruolo dell’Avvocato ma, altresì, asseverando quella leale e rispettosa interazione fra Avvocatura e Magistratura che qui si percepisce. Un rapporto che, nei rispettivi ruoli, prerogative e funzioni, con consapevolezza deontologica tendenzialmente comune, concorre a qualificare la giustizia del Nostro Distretto di Corte di Appello. Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trento
CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2017
28.1.2017 – Corte di Assise, Trento
Intervento del Presidente dell’Ordine Distrettuale degli Avvocati di Trento, Avv. Andrea de Bertolini
Quindi, un giusto, autentico, riconoscimento alla Presidente della Corte di Appello e al Procuratore Generale per aver inteso condividere “questo luogo” in “questo modo”.LA GIURISDIZIONE NEL NOSTRO TERRITORIO
Il 2016, dimostra i consueti standard di efficienza ormai acquisiti. Assenza sostanziale di arretrato e ragionevole durata dei processi, per la giustizia penale e per quella civile, come connotati fisiognomici, di certa riconoscibilità per il nostro sistema Giustizia. Un risultato invidiabile perché obiettivo, ottenuto anche grazie al contributo dell’Avvocatura trentina che vede nelle procedure alternative alla definizione del contenzioso un importante modello di composizione delle liti.
La risposta che, questa Giurisdizione, nelle sue componenti – compresa quella di Magistratura Onoraria, anche di Pace, e di funzionari amministrativi – sa ed è in grado di dare al Cittadino, è rassicurante e si pone come indubbio fattore determinante la qualità della vita che ci è riconosciuta. Qualità della vita che, tuttavia, e ritengo a ragione, parte della comunità trentina percepisce oggi come peggiorata. Maggior insicurezza sociale, coerente a evidenze che non possono non esser colte da chi vive qui da molti anni. E tuttavia, non ritengo ciò dipenda da inefficienze del sistema giustizia; piuttosto vi è la necessità di una migliore pianificazione del controllo del territorio. Non trascuro o ignoro le obiettive difficoltà che condizionano, anche in questa Regione, chi opera ogni giorno, ma è certamente importante un momento di riflessione per evitare che, contingenze quotidiane, se non arginate, generino tensioni sociali che, ove innescate, diverrebbero di difficile composizione.
Nota a parte per situazione carceraria. Il bilancio non è positivo. Permangono le criticità che evidenziavo un anno fa. Immutata la situazione bolzanina. Non è migliorata quella trentina. È imprescindibile un fermo, deciso, richiamo agli Organi competenti. Non possiamo far naufragare lo sforzo “per” una concreta funzione rieducativa della pena, reso dalla Provincia Autonoma di Trento, da Governo e Parlamento anche rispetto al disumano dramma del sovraffollamento, lasciando che il Carcere, non per vezzo, in Via Beccaria, sia, per la “società dei giusti”, un luogo di oblio, e, per i condannati, un luogo in cui “si resta passando”, segnati dallo stigma sociale indelebile dell’ex detenuto.
Anche solo il dubbio di maltrattamenti; anche un solo suicidio sono, per ciascuno di noi, inaccettabili sconfitte. Oggettivamente intollerabili.
E tuttavia, il 2016 si è chiuso per il nostro territorio con il conseguimento di un risultato importante. Storico.
L’approvazione, del decreto legislativo di attuazione dello statuto speciale, con la delega alla Regione delle funzioni riguardanti l’attività amministrativa e organizzativa di supporto agli uffici giudiziari.
Da parte dell’Avvocatura un plauso a chi ha operato con impegno e dedizione al perseguimento di questo obiettivo. Un risultato che consolida l’autonomia di una regione di confine e frontiera, riconosciuta, al netto dei drammatici accadimenti del novecento, come secolare enclave territoriale e politica. Così completando, dopo scuola dell’obbligo, università, sanità, l’attribuzione all’ente locale dei servizi pubblici essenziali più connotanti un moderno stato sociale.
L’augurio è che la nostra politica sappia farsi carico di questa grande responsabilità e attenda, con un criterio di gestione oculata della spesa pubblica, alle aspettative di noi tutti per migliorare ancor più un sistema
giustizia, sancito, con questa delega, nelle sue efficienze anche grazie ad una geografia giudiziaria ancorata ad un’imprescindibile prossimità al cittadino e alle comunità provinciali.LA SITUAZIONE NAZIONALE
L’anno trascorso ha riproposto frequenti tensioni fra mondo politico e giurisdizione. Non ha senso soffermarsi sui fattori d’innesco; piuttosto, ha senso un richiamo all’opportunità che, nell’interesse esclusivo del cittadino, si opti, in modo definitivo, per un dialogo autenticamente costruttivo che espunga rivendicazioni di retroguardia o conservative.
È, invece, necessario riflettere su come gli assetti fondanti il nostro Ordinamento siano in profonda evoluzione. Si sta consumando un passaggio “culturale” di rilevanza storica: al modello “classico” di civil law, sta sempre più sostituendosi, in modo dominante, un nuovo modello. Un “tipo” di Ordinamento che vede la giurisprudenza e lo stesso giudice definitivamente parte del circuito di produzione del diritto. Da un lato, per ragioni proprie (si pensi al valore delle sentenze di Corte Europea, Corte Costituzionale, Sezioni Unite e Adunanza Plenaria); da altro lato, per fattori impropri. Così, l’invalso ricorso a tecniche legislative semplicemente non intellegibili, il fenomeno delle legislazioni d’emergenza (da ultimo cd omicidio stradale), le cd “deleghe in bianco”, con cui, di fatto, si lascia alla giurisdizione, per omissione “dolosa” del legislatore, il compito supplente di rendere compatibili le norme ai principi costituzionali. E, sul versante interno alla giurisdizione, la cd “ermeneutica creativa” che, ancora oggi, a volte, interviene alterando assetti normativi in modo incongruo. Al netto di dissertazioni dommatiche e delle opinioni di ciascuno, quello cui non ci si può sottrarre è la presa d’atto dell’attuale “stato dell’arte”.
Ora, fra i criteri di legittimazione del potere giudiziario vi è anche la capacità da parte del cittadino di comprendere le decisioni giudiziali. Così, la certezza del diritto, rimane l’unico paradigma “per” la legalità del sistema; principio che abbiamo il dovere etico di preservare anche solo da opacità.
In questo essere e divenire, l’Avvocato si conferma, rinnovando il proprio ruolo, come interlocutore necessario. In un ordinamento costituzionale, fondato sulla separazione dei poteri, ancorato, per un dovuto equilibrio, a check and balance, nel quale la giurisprudenza è assurta a formante del diritto, l’Avvocato, nel garantire il diritto naturale di Difesa, si pone come – necessario – elemento a presidio della legalità. Se condivise le premesse, questa è conseguenza non negoziabile.
Un ruolo costituzionalizzato: non solo la Difesa del singolo ma, altresì, un presidio civile, “contro” le decisioni ingiuste che possano assurgere a diritto. Anche in questo sta il ruolo sociale dell’Avvocatura.
E, tuttavia, molto vi è ancora da fare perché, su queste premesse, l’assetto ordinamentale, più ampio rispetto alla Difesa del singolo nel “giusto processo”, sia percepito, condiviso e attuato. È chiesta un’Avvocatura autonoma e indipendente, forte di un corredo deontologico riconosciuto come presupposto “certificatore” della qualità del servizio. È chiesto un cambio di prospettiva culturale anche alla stessa Avvocatura. Sono necessari interventi concreti.
Il potenziamento della presenza degli avvocati nei Consigli Giudiziari va, dunque, accolto, non subìto, come un atteso provvedimento che sa cogliere la giusta direzione da intraprendere.
Altrettanto nella giusta direzione, ed è notizia di questo giovedì, l’approvazione, della circolare del Consiglio Superiore della Magistratura con la quale, pur in un clima interno caratterizzato da accese polemiche ma in attuazione del protocollo d’intesa sottoscritto fra C.S.M. e C.N.F., si riconosce la necessaria partecipazione consultiva degli Avvocati prima dell’approvazione dei piani organizzativi degli Uffici giudiziari e – in ambito di Consigli Giudiziari – nelle cd “commissioni Flussi”.
Così, ancora, il lavoro del Consiglio Nazionale Forense, per un leale, responsabile, non aprioristico, confronto con Politica e Magistratura, ha contribuito nel richiamare l’attenzione sull’opportunità condivisa di contrastare quei poteri forti, di base sostanzialmente economica che, per consolidare e rafforzare i propri interessi a detrimento della tutela dei diritti del cittadino e della democraticità “reale” del Paese, sospinti dal refrain di una intollerabile mercificazione della professione e dei diritti, nella impropria sintesi dell’esser “assistito” e “consumatore” sinonimi, operano per ridurre il ruolo dell’Avvocato ai minimi termini, relegandolo a mero soggetto di mercato.
L’auspicio è che gli impegni assunti al Congresso Nazionale dell’Avvocatura a Rimini dal Ministro, al quale va riconosciuto un meritorio “nuovo” impegno “per” una riforma organica ed efficiente del sistema giustizia, possano trovare presto concreta attuazione.***** *** *****
Con questo spirito, con un’Avvocatura pronta, tecnicamente preparata, rigorosa nella sua essenza deontologica, con la consapevolezza che – con le parole, che mi piace ripetere, del Ministro Orlando– “la ricchezza di cultura giuridica, che appartiene alla professione forense, è inseparabile dal patrimonio di diritti di cui gode il Paese”, siamo pronti nell’affrontare il nuovo Anno Giudiziario convinti di poter meritare la fiducia dei cittadini nell’interesse esclusivo dei quali questo servizio è svolto.
Ringrazio tutti per l’attenzione.
Avv. Mariapia Maier – TRIESTE
Signor Presidente della Corte,
signore e signori,
è da giorni che, pensando al gradito dovere di avvicinarmi a questo momento, ripeto tra me e me: che grande privilegio ho.
Per due principali ragioni.La prima che vivo in un paese libero. Posso rivolgermi ad un’istituzione, la Giustizia, che è centrale nell’assetto di un paese civile e l’istituzione mi ascolterà. La seconda ragione è che sono un avvocato, e se dovesse farsi ascoltare dall’istituzione chi non può farlo da solo, perché è debole o non ha voce, sarei io a rivolgermi a voi per conto suo e farmi ascoltare. Come disse il grande Cordero il cittadino che si confronta con la giustizia, come
negli antichi duelli, ha un Campione, e lo manda in campo.Mi sento quindi onorata e anche molto fortunata, perché mi è data la possibilità di esprimere il punto di vista dell’avvocatura, in un momento storico in cui non è così dappertutto: a poco più di due ore di volo, vi sono avvocati che pagano con la loro libertà e purtroppo qualcuno anche con il sacrificio della vita, l’impegno nella lotta per i diritti.
Di questo mestiere qualche volta si muore, ammazzati, e in tempi recenti è avvenuto con allarmante frequenza. Nessuno lo deve dimenticare e ricorderemo questi colleghi, di tutto il mondo: vorremmo avere il loro coraggio.
Sono perciò lieta che qui vi sia, a rappresentare il Governo, e in particolare il Ministro della Giustizia, un collega avvocato. Rivolgo all’avv. Roberto Parodi una speciale accoglienza e un forte ringraziamento. La presenza proprio di un collega avvocato nell’ufficio legislativo del ministero viene da noi letta come un segno di particolare considerazione da parte del Ministro verso il nostro ruolo, e finalmente risolve una mancanza di rappresentatività degli avvocati in quella fondamentale sede che era divenuta persino anacronistica.
Un altro pensiero forte voglio dedicarlo alla collega avv. Barbara Spinelli di Bologna, che solo due settimane fa, dovendosi recare in Turchia per intervenire quale relatrice a un importante congresso, organizzato a Istanbul sul delicato tema dei diritti fondamentali dell’uomo, arrivata in quel paese, è stata trattenuta dalle autorità, posta in una camera di sicurezza e poi, solo all’indomani, respinta in Italia.
E bene ha fatto il Presidente del Consiglio nazionale forense avv. Andrea Mascherin a evidenziare quanto successo alla penalista bolognese in una lettera al Ministro Orlando e ad altre Istituzioni italiane, dando un segnale forte di coesione e solidarietà.
Il 2016 è stato un anno di estrema importanza per l’avvocatura, che dopo essersi interrogata a lungo negli anni precedenti sulle ragioni della crisi che l’aveva colpita, imbrigliata ed intrappolata nelle difficoltà insorte dopo la legge di riforma della professione forense del 2012, è riuscita a riprendere l’energia necessaria per il recupero della propria funzione sociale e a ritrovare la necessaria unità per affrontare le sfide del futuro.
In tale ottica mi preme ricordare che all’esito del 33esimo congresso nazionale forense tenutosi a Rimini ad inizio ottobre è stata deliberata l’istituzione dell’Organismo Congressuale Forense e sono stati definiti i ruoli ad esso spettanti.
Gli elementi più significativi rispetto al precedente modello di rappresentanza che era costituito dall’OUA risiedono nel fatto che viene valorizzato il Congresso come massima “assise” dell’Avvocatura, ed è il Congresso che tratta i temi della vita fondamentali, della giustizia e della professione e formula le proposte “autonome” della categoria.
L’organismo Congressuale Forense opererà in sinergia con le istituzioni forensi nel rispetto delle prerogative ad esse assegnate, in particolare per quanto riguarda la rappresentanza istituzionale dell’avvocatura che la legge n. 247/2012 di riforma della professione forense attribuisce a livello centrale al CNF, e ai consigli dell’ordine a livello locale. Inoltre, non trascurerà di consultare le associazioni forensi nel rispetto della loro autonomia.
Ho il piacere di dire che coordinatore nazionale è stato eletto l’avv. Antonio Rosa, già presidente dell’unione triveneta degli ordini degli avvocati e nel nostro distretto è stato eletto come componente di OCF l’avv. Rosanna Rovere, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pordenone, che oggi è qui presente al mio fianco. L’occasione quindi per augurare buon lavoro a chi è chiamato a questo nuovo incarico.
Anno importante, dicevo, anche per la voce che l’avvocatura è riuscita a esprimere mediante il giornale quotidiano Il Dubbio, che con tale strumento ha potuto dare il punto di vista garantista proprio dell’avvocato, nel panorama ahimè desolante delle notizie inerenti i temi della giustizia.
L’accenno che ho voluto fare all’iniziativa editoriale dell’Avvocatura, mi permette di soffermarmi brevemente sul problema irrisolto dell’informazione giudiziaria e dell’abitudine dei media ad anticipare notizie ancora coperte da segreto nonché a celebrare veri e propri giudizi fuori dalle sedi naturali delle aule di giustizia.
Sono anni che il problema sussiste, ed è venuto davvero il momento di dire basta!
Nel 2016 noi avvocati abbiamo fatto molto per la legalità, nelle aule di giustizia ma anche fuori.
Ricordo in particolare l’accordo siglato tra il CNF e il Ministero dell’Istruzione, in base al quale abbiamo avvicinato un sistema scolastico nel quale il diritto come materia di insegnamento è praticamente uno sconosciuto ed iniziato ad andare nelle scuole, gratuitamente, a parlare di diritti ed educare i futuri adulti alla legalità.
Inutile dire che l’iniziativa ci ha trovato entusiasti , e in tal modo siamo certi che daremo un contributo non indifferente nella diffusione tra i ragazzi dei principi di legalità, eguaglianza, non discriminazione di pluralismo culturale e sociale.
E ciò in un paese in cui quasi nessuno sa cosa fa esattamente la Procura della Repubblica e poco distingue il ruolo del pubblico ministero da quello del Giudice delle indagini preliminari, appare di certo operazione molto interessante e apprezzabile.
L’anno scorso il Consiglio dell’Ordine di Trieste aveva voluto già introdursi nelle scuole cittadine, promuovendo un concorso per un elaborato scritto sul ruolo dell’avvocato e l’etica del sacrificio.
In tal modo abbiamo stimolato un dibattito nelle classi e di riflesso nelle famiglie, e intendiamo proseguire in questa attività formativa e importante.
Ulteriore e importante sfida raccolta dagli avvocati è stata la cosiddetta giurisdizione alternativa o – come qualcuno ha detto – parallela. Dopo i primi cauti passi gli avvocati, anche grazie alla formazione cui si sono sottoposti, hanno preso via via padronanza con i nuovi strumenti offerti dal legislatore e hanno in tal modo dato un contributo alla riduzione del carico dei procedimenti giudiziari, con ciò confermando quel ruolo di protagonista della giustizia in cui in particolare il Ministro Orlando ha sempre creduto e che ha sempre valorizzato.
Se i numeri delle Negoziazioni Assistite non sono ancora di entità significativa, a mio avviso lo si deve non certo all’asserita resistenza degli avvocati, bensì al problema riscontrato della mancanza dell’estensione delle norme sul Patrocinio a Spese dello Stato alla negoziazione assistita, quantomeno quando la procedura previa sia obbligatoria.
E anche quando la procedura non sia obbligatoria ex lege, si pensi all’effetto deflattivo che una simile previsione potrebbe avere ad esempio nell’ambito del diritto di famiglia, dove le necessità di speditezza e risparmio delle parti potrebbero incentivare l’uso di questo strumento.
Approfitto della presenza del rappresentante del Ministero per ribadire la necessità che venga quanto prima colmata questa lacuna legislativa.
Lo avevamo detto un anno fa e purtroppo lo dobbiamo ripetere oggi, quell’incentivo volto a favorire la scelta di strumenti alternativi indicato in un credito di imposta che ricordo essere di soli €250 per la Negoziazione Assistita non può avere l’effetto desiderato, essendo del tutto sproporzionato al costo effettivo che le parti devono sostenere.
Analogo discorso per il credito d’imposta previsto per i costi della procedura di Media Conciliazione, e pari ad € 500.
E parliamo del processo telematico.
Va segnalato con soddisfazione anche sotto tale profilo l’impegno degli avvocati, che, grande impegno, soprattutto – mi perdonino – per i meno giovani, si sono attrezzati, anche con impegno finanziario, per la svolta, che non esito a definire epocale, del Processo Civile telematico.
Certo, l’ansia che comporta magari l’espletamento dell’iter, specie laddove vadano inoltrati
documenti di dimensioni elevate, l’attesa della famosa quarta busta, in uno con il rischio
frequente e concreto di non poter accedere a un atto di costituzione tempestivamente caricato da controparte ma non ancora a video, per l’impossibilità concreta del personale di provvedere in tempo reale , esiste, e parimenti esiste la difficoltà di identificare per particolari atti i codici.
La preoccupazione degli adempimenti comporta di frequente che il vantaggio del telematico sia accompagnato da un dispendio di tempo per il professionista da una parte e per l’addetto della cancelleria dell’altro, dedicato alla verifica che tutto sia stato correttamente svolto e completato.
La recente entrata in vigore del processo telematico anche nel settore della giustizia amministrativa ha trovato anche in quell’ambito avvocati pronti e attenti.
Vorrei fermare però l’attenzione di tutti su come il nuovo modo odi lavorare abbia inciso anche sull’attività quotidiana del professionista, che di fatto è raggiunto dalle comunicazioni PEC in ogni luogo e in ogni momento, il che significa di frequente decorrenza dei termini, spesso ristretti.
Le comunicazioni via pec poi in materia penale certamente sgraveranno il personale, ma comprimono sovente gli spazi di difesa. Vi sono nel codice di procedura penale termini anche di soli due giorni: se la pec arriva il venerdì pomeriggio, il termine scade lunedì mattina, e bisognerebbe esaminare qualche volta interi grossi faldoni. C’è qualcosa ovviamente che non va. Sarebbe proprio un fuor d’opera immaginare almeno termini che
invece che di giorni di calendario siano composti dai soli giorni lavorativi?
Ma sono molti i termini per i difensori in un processo penale qualche volta davvero
insufficienti. Per esempio i venti giorni che decorrono dell’avviso di conclusione indagini o i quindici successivi alla richiesta di giudizio immediato. Tutte cose sulle quali verosimilmente un intervento legislativo equilibrato non pregiudicherebbe le regole del giusto processo e renderebbe più effettiva la tutela dei diritti dell’accusato.
E veniamo a un altro tema che mi sta particolarmente a cuore, il carcere.
Bravo davvero il Ministro Orlando a imboccare la strada volta a migliorare le condizioni di vita dei ristretti e la facilitazione all’accesso alle misure alternative. Ha reso il nostro paese più civile e trattato finalmente un argomento che la politica trascurava, quasi avesse paura di vedere cosa ci fosse dentro.
Ora serve un po’ di tecnologia: qualche braccialetto elettronico vogliamo comprarlo? Costa molto meno del carcere e non ne ha le criticità.
Ciononostante in questo momento nelle carceri italiane vi sono molti soggetti cui è stata sostituita la misura custodiale massima con gli arresti domiciliari e imposizione del supporto di controllo, che stanno però attendendo, rimanendo rinchiusi, che il braccialetto sia disponibile.
Essere in graduatoria di attesa per uscire di prigione, avendone diritto perché così ha
deciso un Giudice, e sapere che si è ancora ristretti, allontanati dagli affetti,
frequentemente figli minori, per la mancanza di strumenti, è davvero situazione
angosciante, ma soprattutto è un costo maggiore non solo per il singolo indagato, ma soprattutto per la società e la situazione aumenta inevitabilmente i numeri dei detenuti con il conseguente deleterio sovraffollamento, già oggetto di severe censure dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Signor rappresentante del governo, speriamo l’anno venturo di registrare l’incremento di supporti elettronici per gli arresti domiciliari.
L’anno appena iniziato dovrebbe vedere attuata la riforma della magistratura onoraria e tutti noi operatori della giustizia ben sappiamo l’incidenza dei componenti non togati ormai nell’espletamento delle cause.
Oggi senza i magistrati onorari i Tribunali chiuderebbero, e c’è un organo giudiziario, il Giudice di Pace, che reggono in esclusiva.
Ma su alcuni punti chiunque frequenta un Tribunale sa che si deve riflettere. Nel momento in cui andranno determinate le modalità di accesso ai ruoli, le competenze e le condizioni contrattuali del loro lavoro, mi auguro che il Governo vi ponga tutta l’attenzione che a noi avvocati pare estremamente necessaria.
E non posso esimermi dal chiedere in occasione della cerimonia odierna e potendo contare sulla qualificata presenza del rappresentante del Governo, conformemente anche a quanto deliberato dall’assemblea dei componenti OCF in data 14 gennaio 2017, che sia
dato immediato avvio ed attuazione alla proposta di legge ministeriale, sull’equo compenso nella professione forense; proposta che intende definire e tutelare l’equo compenso degli avvocati iscritti all’albo e imporre agli operatori economici il rispetto negli accordi, considerando nulle le clausole che prevedano condizioni contrattuali contrarie al riconoscimento di un compenso equo; la proposta inoltre elenca le tipologie di clausole ritenute abusive, in quanto realizzano un eccessivo squilibrio delle prestazioni, a favore del committente.
E approfitto sempre della solennità dell’occasione per sollecitare l’approvazione anche del disegno di legge che finalmente è stato presentato e che dovrebbe portare una volta per tutte a riconoscere il carattere di legittimo impedimento anche alla gravidanza e maternità delle donne avvocato.
Purtroppo molti magistrati non ritengono, e lo dimostrano con i loro provvedimenti, che le donne avvocato siano lavoratrici come tutte le altre, e non riconoscono con i loro provvedimenti neppure la tutela minima alla gravidanza e alla maternità, persino nei periodi in cui per tutte le altre lavoratrici, l’astensione dal lavoro è obbligatoria per legge.
E’ un atteggiamento che non ha motivazioni giuridiche, e tanto meno etiche, e spiace che si resa necessaria una richiesta, che è da parte nostra forte, di un intervento legislativo.
Un accenno infine ai Consigli giudiziari
Noi crediamo che riconoscere il diritto di voto agli avvocati eletti nei consigli giudiziari costituisca la base per il rinnovamento del sistema giustizia, ma non certo nell’interesse degli avvocati ma solo nell’interesse dei cittadini.
I consigli degli ordini sono pronti a garantire, come hanno sinora garantito, che al delicato ruolo siano chiamati rappresentanti della più alta competenza possibile che riescano a lavorare in sinergia con gli altri protagonisti del sistema giustizia.
Sono pur sempre gli avvocati che possono esprimere il giudizio in concreto sulle capacità, e non solo organizzative, del magistrato.
Sono certa che la strada intrapresa dal Ministro Orlando proseguirà in tal senso, e sarà una svolta significativa nel sistema.
Molti ancora sarebbero gli argomenti da trattare, ma il tempo non me lo consente.
Avv. Paolo Maria Chersevani – VENEZIA
Eccellentissimo Signor Presidente
Eccellentissimo Signor Procuratore Generale
Eminenza
Autorità Civili e Militari
Magistrati e Colleghi
Signori e Signore
Nell’aprire il mio discorso ritengo doveroso affrontare il tema riguardante l’opportunità della Cerimonia di Apertura dell’Anno Giudiziario, da alcuni sollevato.
Mi limito soltanto a precisare che la sua utilità è dettata dalla necessità di un franco e chiaro scambio di idee tra i soggetti che vi partecipano.
Va, infatti, affermato che Magistratura ed Avvocatura non possono perdere questa occasione per fare un esame di coscienza pubblico e se del caso, una schietta autocritica.
Forse di tali intenti pochi si accorgeranno, ma riteniamo sia nostro compito fornire pubblicamente una corretta informazione sullo stato della Giustizia Italiana e locale e dei problemi che ne affliggono le varie componenti, fornendo un punto di partenza sul quale poter assieme lavorare.
Anche alla luce di quanto poco sopra detto, una corretta esposizione non può prescindere dal richiamare due titolati interventi, quali il discorso alla nazione del signor Presidente della Repubblica e la relazione del Ministro della Giustizia alle Camere.
Per quanto concerne le più che condivisibili asserzioni del Capo dello Stato in merito a lavoro, immigrazione, coesione sociale (con speciale riferimento alle vittime del terremoto e dei successivi eventi che hanno colpito numerose regioni italiane alle quali va il nostro più sentito sostegno), occorre anche quest’anno rimarcare che nessun accenno al problema Giustizia è stato fatto.
Seguendo il pensiero del noto sociologo Zygmunt Bauman, teorico della società liquida, il quale afferma che “senza regole prosperano solo criminali e finanza”, ci permettiamo sommessamente affermare che senza Giustizia, intesa come garante del rispetto delle regole, non potranno trovare soluzione i problemi citati dal nostro Presidente, data l’ormai conclamata mancanza di appeal del nostro Paese ad attrare risorse ed investimenti.
Affermata dunque, la premazia della Giustizia, quale necessaria soluzione pregiudiziale alla gran parte dei mali che affliggono la nostra nazione, dobbiamo dare atto al Ministro della Giustizia di aver cercato di almeno avviare un percorso di risanamento.
Abbiamo così appreso che sono diminuite le cause civili pendenti, scese da 5 milioni e 300mila a 3 milioni e 800mila, che sono diminuiti di sette punti percentuali i procedimenti penali e che altresì i detenuti sono 54.653, vale a dire 10.000 in meno in tre anni.
Anche se apprezziamo gli sforzi del signor Ministro, con la franchezza che ci è nostra, dobbiamo rilevare che la gran parte dei risultati così ottenuti va al fatto che i cittadini, ormai delusi e scoraggiati, non accedono più alla richiesta di giustizia.
I dati ISTAT sul punto sono devastanti, ove solo si consideri che a quanto risulterebbe, oltre un milione e mezzo di persone hanno rinunciato ad avviare una
causa civile per i costi troppo elevati, per l’incertezza dei tempi di svolgimento o dell’esito favorevole.
Ci troviamo dunque di fronte all’aberrazione del principio “giustizia ritardata equivale a giustizia negata”. Nello specifico possiamo affermare che “giustizia non richiesta equivale a giustizia negata”, in spregio al principio sancito dall’art. 24 della nostra intoccabile Carta Costituzionale.
Ciò non toglie che qualche risultato si veda e che vada dato atto al Ministro di aver posto all’attenzione di tutti l’indifferibilità della soluzione di problemi ormai cronicizzati.
Il nostro apprezzamento va agli investimenti fatti in tema di digitalizzazione dei procedimenti ed all’aumento dei Magistrati, in particolare per quanto riguarda la nostra regione, che ha portato il Ministro a proporre quattro Giudici a Venezia, cinque a Verona, cinque a Padova, sei a Vicenza, sei a Treviso, due a Rovigo e uno a Belluno; per le Procure invece, tre P.M. a Venezia, due a Vicenza, uno in più alle altre, così giungendo a Padova a 17, a Treviso a 12, a Rovigo a 7, a Verona a 17.
Quanto fatto non è sufficiente a risolvere tutti i problemi, in particolare l’arretrato; tuttavia è un segnale di non vuota speranza, che è già stato percepito dal ranking internazionale che ci ha fatto allontanare, seppur di poco, dalle ultime posizioni di “Stati canaglia” in tema di giustizia, avendo recuperato una quarantina di posizioni.
Condivisibile inoltre la volontà di intervenire sui processi civile e penale, interventi ritardati dai problemi che continuano e continueranno ad ostacolare insensatamente l’approvazione di provvedimenti legislativi da tempo ritenuti improcrastinabili. Ci riferiamo alla riforma del Processo Civile, arrivata ad un ritardo di 679 giorni, bloccata al Senato da 314 dopo il primo sì dalla Camera, al DDL sulla riforma e alla riforma del penale, con annessa prescrizione che chissà quando mai vedrà la luce.
Certo è, che se la politica si arrovella quasi esclusivamente su aspetti che riguardano la sopravvivenza di questo o di quel partitino, di questo o di quel parlamentare, o peggio ancora, delle prebende di tutti, alcuna soluzione potrà essere trovata non solo al problema giustizia, ma anche agli altri gravi problemi che affliggono il Paese.
Problemi che sono tuttavia ritenuti dai nostri Governanti di ben minor interesse rispetto all’approvazione di una legge elettorale che possiamo sin d’ora chiamare, con un triste sorriso, l’ennesimo “papocchium”.
In questo contesto si inserisce il gravissimo problema dei migranti, con un aggravio, non solo di spese in tema di patrocinio a spese dello Stato, giunte per il solo Tribunale di Venezia ad un esborso di oltre un milione di euro.
Su tale emergenza sta intervenendo il Ministro Orlando e, volenti o nolenti, il problema andrà risolto con il necessario e doveroso intervento della Comunità Internazionale, anche e non solo con l’applicazione di regole eguali per tutti.
Quanto affermato non deve essere inteso come plauso incondizionato alla doverosa ricerca di soluzioni in tema Giustizia da parte del Ministro Orlando, diciamo solo che almeno ne ravvediamo la buona volontà, anche perché le componenti del sistema Giustizia: Magistratura, Avvocatura, Personale amministrativo, non gli sono di molto aiuto.
Andandole sommariamente ad osservare partitamente, ci accorgiamo che la più numerosa componente associativa della Magistratura ha messo in atto una vera e propria dissociazione da qualsivoglia confronto.
In special modo dalla politica, decidendo di non partecipare alla Cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Giudiziario presso la Corte di Cassazione e minacciando lo sciopero per protestare per il mancato spostamento dei limiti di età per il pensionamento da 70 a 72 anni e sui termini per poter chiedere un trasferimento da 4 a 3 anni.
Anche se per motivi contingenti condividiamo i motivi della protesta, se non altro per l’inopportunità di pensionare validi ed esperti magistrati in un momento di grave crisi strutturale, non crediamo che queste siano le reali motivazioni di una protesta che ci pare invece, ben più articolata e ramificata all’interno della stessa
Magistratura, che vede nell’Avvocatura un nemico se non da combattere, almeno da ignorare.
L’Avvocatura tuttavia, non è da meno, dovendo scontare il suo peccato originale:
vale a dire la mancanza di coesione, di spirito di appartenenza, di partecipazione, dovuta ad una eccessiva individualità, o meglio all’eccesivo individualismo di ogni singolo avvocato.
Quanti sono i colleghi che subiscono passivi leggi e regolamenti che li riguardano e non si occupano di politica forense, limitandosi a cercare di trarre il massimo, anche scarno, profitto dal proprio lavoro? Purtroppo la stragrande maggioranza anche e soprattutto dei giovani, disillusi e dallo sguardo spento prima ancora di cominciare.
Il tutto aggravato dall’eccessivo numero di avvocati: 240.000 contro 9.000 magistrati, frutto di una squinternata politica del “todos caballeros”, che trae ahimè origine da una scuola ed in particolare da un percorso universitario del tutto carenti a far si che i giovani avvocati possano entrare nell’agone forense con la dovuta preparazione.
Per il vero si sta tentando di porre rimedio a tali difetti.
Infatti, il Congresso Nazionale Forense tenutosi a Rimini il 7 ottobre 2016, ha deliberato di dare attuazione al disposto dell’art. 39 della Legge Professionale Forense, prevedendo la riorganizzazione dalla rappresentanza politica dell’Avvocatura, fondata sulla valorizzazione dei deliberati congressuali.
Il nuovo Organismo, denominato OCF organismo Congressuale Forense, dovrà, e non potrà esimersi dal farlo, operare in sinergia con tutte le componenti dell’Avvocatura, primo fra tutte il CNF, evitando scontri personalistici che hanno portato l’Avvocatura Italiana a conflitti inutili e pur tuttavia, estremamente dannosi.
Particolare compito del CNF, dell’OCF, della Cassa Previdenza e della Associazioni Forensi tutte, sarà quello di recuperare dignità e prestigio ad una Professione ormai sbiadita.
Per far questo sarà necessario che si dia immediato avvio ed attuazione alla proposta di Legge Ministeriale che vuole definire e tutelare l’equo compenso degli Avvocati iscritti all’albo, a garanzia di trasparenza per il cittadino che deve ricorrere all’Avvocato e dell’Avvocato nell’imporre agli operatori economici dominanti il suo rispetto.
La necessità che la proposta legislativa del Governo trovi sollecita applicazione, va nell’indirizzo di tutelare in particolare i giovani avvocati, che afflitti, come l’Avvocatura tutta, dalla grave crisi economica che sta attraversando, si trovano costretti a sottoscrivere clausole a dir poco vessatorie.
Passando al personale amministrativo, in effetti assolutamente carente, siamo costretti a rilevare che le difese, o meglio gli sbarramenti proposti dagli organismi sindacali nazionali, appaiono più il frutto di una ancestrale resistenza, o meglio attaccamento ai privilegi del posto fisso, che di serena, compiuta valutazione e doverosa disponibilità.
In un Paese dove abbondano Enti inutili, lavoratori nullafacenti, dipendenti che timbrano in deshabillé per sé e per altri, non troviamo per nulla scandaloso che i lavoratori sottoutilizzati vadano a ricoprire incarichi nel settore dove vi è maggior necessità, previo il necessario breve apprendistato.
Un riconoscimento va dato al Presidente della Regione Veneto, dottor Luca Zaia, per la disponibilità rammostrata fattivamente, così come a tutti i dipendenti delle sedi giudiziarie Veneziane che, diversamente dai loro vertici nazionali, operano con indubitabile spirito di sacrificio e non frappongono alcun ostacolo all’utilizzo di personale proveniente da altre realtà, anche se necessitante di un doveroso acclimatamento.
Fin qui i problemi.
Le soluzioni prospettate dai numerosi medici accalcatisi attorno al letto della Giustizia malata, vanno a nostro sommesso avviso riassunte e ricercate in una spinta di nuova moralità, educazione civica, rispetto degli altri, di se stessi e della cosa pubblica che deve essere fatta propria da tutti.
Si dirà essere una proposta vuota e senza prospettiva di successo; così non è se tale rinascimento morale e sociale parte dalla applicazione corretta di quel principio di legalità del quale noi tutti, operatori di giustizia, dobbiamo essere esempio.
Nel far ciò dobbiamo riscoprire ed affermare l’importanza dei ruoli affidatici, svincolati dal cancro di una politica ormai quasi totalmente invasiva.
Persino la “Greco” Organo Anticorruzione del Consiglio di Europa, ha invitato l’Italia a dire basta al passaggio indiscriminato dalla magistratura alla politica e viceversa, trovando l’autorevole parere favorevole di molti magistrati.
Personalmente rabbrividisco quando sento parlare di toghe rosse, nere, di destra, di sinistra, sempre, peraltro, con riferimento alla indicazione dei Magistrati che le indossano.
Come avvocato non so dunque come chiamare il paludamento che sto adesso indossando. Certo è che per me, e per la quasi totalità degli avvocati, al di là della sua foggia, è un abito morale che non ci toglieremo mai più dalla pelle.
Indossare la toga, da qualsiasi parte dell’Aula ci si trovi, è un privilegio ed un onore che non ha e non deve avere colore alcuno, in particolare politico, e le funzioni, di rango costituzionale, che vi si esercitano non devono essere in alcun modo influenzate da alcun altro intento, se non quello della applicazione della Legge, giusta o sbagliata che sia.
Non è solo con il ricorso ai mutamenti di rito processuale, non con le riforme e costo zero, non con una legislazione debordante e complicata, spalmata nelle più variegate leggi o provvedimenti legislativi, che si otterrà un qualche risultato.
Ci vogliono investimenti che implementino il numero di Magistrati, dei Cancellieri, del personale amministrativo, dei macchinari in loro disponibilità.
Ma tali sforzi, la cui indicazione appare qualunquistica, non porterebbero a nulla, se non accompagnati da una maturazione di tutte le componenti del pianeta Giustizia, e dalla costante e franca collaborazione fra le stesse.
Venendo alle cose di casa nostra, abbiamo già riferito dell’implemento di organici e di personale nell’intero territorio nel distretto, e di ciò siamo lieti.
Dobbiamo però ancora una volta denunciare la disastrosa situazione di cui versano gli Uffici del Giudice di Pace di Venezia.
Siamo stanchi di ripeterlo da tempo senza soluzione di sorta.
L’Avvocatura Veneziana ha dato ciò che poteva dare in termini di ausilio al funzionamento degli Uffici.
Servono Magistrati e serve personale, disposto anche a fare una decina di minuti di viaggio in più per raggiungere l’attuale sede, che peraltro non è poi in capo al mondo.
Tale necessità fa il paio con l’improcrastinabilità della soluzione del problema riguardante il completamento della Cittadella della Giustizia.
Che il decoro di Venezia passi anche attraverso il recupero di un’area industriale dismessa in una zona periferica della città, già oggetto di mille valutazioni e mille rinvii, ci sembrava e ci sembra un motivo più che valido per dare alla nostra città ed alla Giustizia Veneziana, la dignità che merita.
Ci auguriamo sul punto che tutte le forze politiche locali e non solo, siano unite nel reclamare a gran voce il completamento di un progetto che se non concluso in tempi ragionevoli, rischia di rivelarsi obsoleto.
Sul fronte interno, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia ha profuso il massimo impegno nella organizzazione e razionalizzazione del servizio ai propri iscritti.
Per perseguire questo fine sono stati essenziali i rapporti con il Presidente del Tribunale, Dottoressa Manuela FARINI, che ringrazio personalmente per aver dimostrato, fin dal momento del suo insediamento, di essere sensibile alle esigenze dell’Avvocatura, interpretando nel modo più pieno le necessarie sinergie con la Magistratura, nel solco di una tradizione della quale possiamo assieme essere fieri.
Altrettanto fattivo è stato il rapporto con i cosiddetti Capi di Corte, assieme ai quali abbiamo fermamente manifestato le particolari necessità e le specificità della situazione giustizia nel Veneto in alcuni incontri presso il Ministero della Giustizia che hanno portato, come detto, ai recenti provvedimenti di assegnazione di magistrati e risorse amministrative per il nostro territorio.
Ma è stato, soprattutto, l’anno della commemorazione del centenario dalla nascita del Prof. Avv. Feliciano Benvenuti.
Il Consiglio dell’Ordine di Venezia con la Fondazione che porta il suo nome, unitamente all’Università Cà Foscari non poteva non dare il giusto risalto ad un evento che ha richiamato personalità ed accademici ai più alti livelli, tutti uniti per ricordare una figura che ha dato lustro alla nostra città ma soprattutto al nostro Ordine per l’alta levatura professionale ed etica che al Prof. Avv. Feliciano Benvenuti è universalmente riconosciuta.
Dal punto di vista operativo, come già detto, il Consiglio ha dovuto dedicare gran parte della proprie risorse, all’emergenza conseguente all’aumento esponenziale delle richieste di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Alcuni numeri potranno fornirvi la misura dell’entità del problema:
per l’anno 2015 le domande di ammissione al gratuito patrocinio sono state 2086, il 39% delle quali (n. 801 domande), costituito dalle istanze relative ai ricorsi proposti da cittadini extracomunitari avverso i provvedimenti di diniego di protezione internazionale.
Nell’anno 2016, le domande di ammissione al gratuito patrocinio sono passate a 4779, il 71,6 % delle quali (ben n. 3426 domande) é costituito dalle istanze relative ai ricorsi proposti da extracomunitari avverso i provvedimenti di diniego di protezione internazionale.
A fronte di un numero di domande che è più che raddoppiato rispetto all’anno precedente, è ormai prossima l’adozione da parte dell’Ordine di Venezia, di un apposito software che entrerà in fase sperimentale entro il mese di febbraio.
E’ stata inoltre costituita la Commissione Tutela dei Diritti Umani, la quale ha tra gli altri, lo scopo di portare all’attenzione di tutti le gravi lesioni al diritto di difesa ed alla libertà professionale, personale e di pensiero degli avvocati minacciati.
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Si pensi solo a quanto accade in Tunisia, Turchia, Cina ed altri stati ancora.
Va segnalata, inoltre, la notevole attività conciliativa svolta da questo Consiglio per dirimere il contenzioso tra cliente ed avvocato, spesso per divergenze in ordine al compenso richiesto che ha portato, in quest’anno, ad un notevole numero di composizioni, riducendo così il contenzioso in linea con le necessità di giustizia cosiddetta alternativa.
Infine, nel corso del 2017 sarà compiuto anche l’iter autorizzativo per la costituzione dell’Organismo di Composizione della Crisi da sovraindebitamento, con il quale l’Ordine si propone, sia alla cittadinanza che ai colleghi, quale garante e gestore di attività che possono portare grandi benefici in situazioni spesso drammaticamente insostenibili, con contenimento dei costi sociali che ne conseguono.
Chiudo con Vostro sollievo il mio intervento facendo mie le parole di Sant’Agostino “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri”.
Nel ringraziare per l’attenzione ci si associa all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017.